Venerdì 02 Luglio 2004
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"Materiale della conferenza stampa :"L'attività della Commissione Bicamerale ad un anno dal suo insediamiento""   svve

La Commissione Parlamentare d’inchiesta sulle cause dell’occultamento dei fascicoli relativi ai crimini nazifascisti è stata istituita con la legge n. 107 del 15 maggio 2003, dopo che nella precedente legislatura sull’argomento era stata svolta un’importante Indagine conoscitiva.
L’istituzione di una Commissione bicamerale d’inchiesta si è resa necessaria per indagare sulle archiviazioni dei 695 fascicoli, conservati nel cosiddetto “armadio della vergogna”. In esso erano contenuti solo una parte degli atti relativi ai crimini nazifascisti, commessi nel corso della seconda guerra mondiale, tra il 1943 e il 1945, anche perché secondo dati particolarmente attendibili gli eccidi ammonterebbero a 2274 con circa 15 mila vittime.

 

 

 

 

In questi mesi la Commissione Parlamentare d’inchiesta ha provveduto a ricostruire l’iter giudiziario compiuto dai fascicoli sui crimini nazifascisti dal 1945 ad oggi chiamando in audizione i diversi responsabili della Magistratura militare. Nei prossimi mesi saranno ascoltati in particolare i titolari politico-istituzionali dei Ministeri della Difesa e degli Esteri con i quali la Magistratura militare ha, pur nella sua autonomia, collaborato. Di fronte al lavoro ancora da svolgere e alla scadenza del mandato della Commissione di inchiesta, prevista per l’8 ottobre 2004, è stata presentata una proposta di legge per la proroga di un anno.
Dall’insieme di queste prime audizioni è uscito confermato il tentativo di occultamento che nei decenni è stato messo in atto, dal 1945 e anche dopo il 1994, allorché vennero rinvenuti fascicoli che diedero vita ad un vero e proprio caso di insabbiamento. Ora si tratta di individuare i presunti responsabili politici e della Magistratura Militare.

1. Le responsabilità della Magistratura Militare. 
Nell’estate del 1994 in un locale di Palazzo Cesi, a Roma, sede degli uffici giudiziari della Magistratura Militare, veniva rinvenuto un vero e proprio archivio di atti relativi a crimini di guerra del periodo 1943-45. Il carteggio era suddiviso in fascicoli a loro volta raccolti in faldoni. Nello stesso ambito veniva alla luce anche un Registro Generale, con i dati identificativi dei vari fascicoli e la corrispondente rubrica nominativa. Il materiale rinvenuto era in gran parte costituito da denunce ed atti di indagine di organi di polizia giudiziaria italiana e di commissioni di inchiesta angloamericane sui crimini di guerra. Anziché essere raccolti e trattenuti in un archivio, gli atti rinvenuti avrebbero dovuto essere stati inviati ai magistrati competenti per le opportune iniziative e l’esercizio dell’azione penale. La cosa più sorprendente e inquietante è rappresentata dal fatto che sui fascicoli figurava la dicitura “provvisoria archiviazione” adottata dalla Procura Generale Militare presso il Tribunale Supremo Militare, organo giudiziario soppresso nel 1981, le cui funzioni erano passate alla Procura Generale Militare presso la Corte di Cassazione.
Tali archiviazioni, già da un primo esame, risultano essere anomale sia in ragione del contenuto stesso dei fascicoli rinvenuti, sia della modalità della loro conservazione, non essendo stati ritrovati nell’archivio degli atti dei Tribunali di guerra soppressi e del Tribunale speciale per la difesa dello Stato, nella sede della Procura Generale Militare, bensì in un armadio con le porte sigillate rivolte verso la parete situato in uno stanzino chiuso da un cancello di ferro. E’ bene sottolineare che alcuni di questi fascicoli si riferiscono a stragi di inaudita violenza come quelle delle Fosse Ardeatine, di Sant’Anna di Stazzema, di Marzabotto, di Boves, di Fossano e di Gubbio. L’indagine conoscitiva svolta nella scorsa legislatura si è conclusa evidenziando, sulla base delle audizioni svolte, la responsabilità della Magistratura militare e, in particolare dei procuratori generali militari che si sono succeduti dal 1945 al 1974. Ma la cosa più inquietante che è uscita confermata anche dalla Commissione parlamentare di inchiesta è che nel 1960 si provvede, come detto, ad un’archiviazione provvisoria dei fascicoli accompagnata ad un’accurata selezione degli stessi, alla quale seguì negli anni tra il 1965 e il 1968 la trasmissione alle procure di circa 1300 fascicoli. In realtà si trattava solo di quelli nei confronti di soggetti non noti o supportati da prove di spessore poco rilevante che, comunque, non potevano dar luogo all’istruttoria di processi penali destinati a conclusione.
L’archiviazione del 1960, comunque, non fu solo un atto adottato da un organo non competente, ma anche un’iniziativa assolutamente discutibile nel merito, in quanto non ricorrevano gli estremi per l’archiviazione, dal momento che i fascicoli contenevano indicazioni di nomi, fatti, e circostanze. 
Nel corso degli anni settanta e ottanta tutti coloro che ricoprirono incarichi negli organi della Magistratura Militare non modificarono le decisioni dei loro predecessori ed anzi negli anni novanta, dopo il 1994, non si diede luogo alla celebrazione di tutti quei processi che si potevano ancora tenere.
D’altronde che vi sia stata una violazione della legalità, lo ha confermato il Consiglio Superiore della Magistratura militare che, in data 7 maggio 1996, ha deliberato di disporre un’indagine conoscitiva per stabilire le dimensioni, le cause e le modalità della “provvisoria archiviazione” e del trattenimento nell’ambito della Procura Generale Militare presso il Tribunale Supremo Militare dei procedimenti per crimini di guerra. Lo stesso Consiglio in data 27 marzo 1999 ha approvato la relazione conclusiva dell’indagine che rilevava la non correttezza dei comportamenti della Magistratura Militare.

2. Occultamento per ragioni di Stato. 
Qualcuno potrebbe domandarsi se oggi, a tanti anni di distanza da quei tragici eventi, abbia senso chiedere ancora giustizia per quei morti, cercare colpevoli, mandanti, esecutori, cioè i protagonisti e i responsabili che vollero ed eseguirono quelle stragi. La gran parte dei carnefici di quell’estate di sangue del 1944 sono morti ed i sopravvissuti, e ce ne sono ancora, hanno ormai un’età molto avanzata. Ciononostante, non è giusto né possibile soffocare il bisogno di verità e di giustizia, ma non di vendetta. Non vogliamo processi sommari, non chiediamo punizioni esemplari per persone ormai prossime alla fine della loro esistenza. Ciò non toglie che vogliamo sapere oggi chi volle quelle stragi, chi furono i colpevoli. Quei pochi che ancora sono in vita devono rispondere di fronte alla storia dei loro crimini contro l’umanità .
Sono passati tanti anni, tante prove non sono più reperibili. Molti degli autori sono morti nella guerra, fuggiti dove nessuno potesse trovarli o dove vi fossero governi compiacenti. Non è mai stato possibile scrivere una volta per tutte chi furono le vittime, i carnefici, i loro nomi, le loro azioni in cui purtroppo anche molti italiani aiutarono decisamente i nazisti a compiere quell’orribile sequenza di massacri che si consumarono in Italia a partire dall’estate del 1944.
Inoltre solo pochissimi processi si sono tenuti anche perché negli anni dei governi centristi e della guerra fredda non si sono voluti perseguire i soldati tedeschi responsabili dei crimini per una precisa ragione di Stato. Ciò si desume tra l'altro dal fatto che nell'immediato dopoguerra, in particolare nel 1947-48, si scelse di concentrare il ricordo dell'orrore attorno agli episodi più eclatanti, soprattutto le Fosse Ardeatine, dove nel marzo 1944 furono giustiziate 335 persone come rappresaglia per l'attentato di via Rasella, e l'eccidio di Marzabotto, che costò la vita a circa 800 civili. Per un lungo periodo sugli altri sacrifici è calato il silenzio, complice anche la scelta politica di favorire il pieno inserimento della Repubblica federale tedesca all'interno dell'Alleanza Atlantica. Ciò tra l’altro è stato testimoniato dal fatto che nel 1956 il ministro degli Esteri, Gaetano Martino, e quello della Difesa Paolo Emilio Taviani, si opposero all'estradizione di una trentina di ufficiali tedeschi responsabili degli eccidi avvenuti nell'autunno 1943 nell'isola di Cefalonia. Il sacrificio di cinquemila soldati della divisione “Acqui” veniva ignorato e intanto la Procura militare avviava contro gli ex ufficiali superstiti un procedimento per «cospirazione e insubordinazione», avendo «disobbedito agli ordini di desistere ad ogni atto ostile e di predisporre ai tedeschi la cessione delle armi pesanti». L'ex ministro Taviani, ammise poi le sue responsabilità: sostenendo che: «un eventuale processo per l'orrendo crimine di Cefalonia avrebbe colpito l'opinione pubblica impedendo, forse per molti anni, la possibilità per l'esercito tedesco di risorgere dalle ceneri del nazismo e io sono stato uno dei precursori della necessità del riarmo della Germania». Queste dunque le ragioni politiche a posteriori dell’occultamento dell’insieme dei fascicoli relativi ai crimini nazifascisti alle quali in qualche modo si adeguò anche la Magistratura Militare. 

3. Memoria e giustizia, senza vendetta, sui crimini contro l’umanità. 
Per molti eccidi quindi non è stato aperto nessun processo penale che rendesse in qualche modo giustizia. Di fronte all’efferatezza di queste stragi, veri e propri delitti contro l’umanità e perciò stesso imprescrittibili, il passare del tempo non può certo attenuare la necessità di una condanna e l’esigenza della certezza della pena. Nell’attesa che si riaprano i processi (come già avvenuto per Sant’Anna di Stazzema) coltivare la memoria può e deve supplire alla mancanza di giustizia per mantenere vivo il ricordo e il giudizio di valore che in esso è connaturato. 
Non a caso la Commissione parlamentare d’inchiesta ha “desecretato”, rendendoli quindi di pubblico dominio, una parte dei fascicoli (compreso quello relativo all’eccidio dei quaranta martiri a Gubbio) in proprio possesso, anche perché la storia ci chiede due verità. Quella sui colpevoli, che affidiamo al lavoro autonomo ed indipendente della Magistratura militare, con nuova fiducia, e agli storici con la consapevolezza di quanta importanza abbia, pur a tanti anni di distanza dagli eventi in questione, l’apertura degli archivi, di tutti gli archivi che ancora oggi, ci dicono gli studiosi, sono preclusi alla storia e alla ricerca. C’è poi un’altra verità, anch’essa storica, ma con un forte significato politico. Si tratta di capire il perché e chi volle l’insabbiamento e l’occultamento dei fascicoli.
Il quadro di politica internazionale che si determinò dopo la seconda guerra mondiale ebbe naturalmente il suo peso. Per la ricostruzione dell’Alleanza Atlantica si ritenne che fosse politicamente inopportuno iniziare processi per crimini di guerra che avrebbero messo in crisi l’immagine della Germania e, soprattutto la ricostruzione di una forza armata in quel paese. La ragione di Stato ha condizionato quindi in negativo l’accertamento delle responsabilità dei crimini di guerra. In più c’è da aggiungere che nello stesso periodo, immediatamente successivo alla fine della seconda guerra mondiale, oltre 2500 militari italiani vennero indagati e imputati per crimini di guerra compiuti in Grecia, Iugoslavia, Albania ed Africa. Forse sarebbe stato difficile giudicare i crimini nazisti quando l’Italia non voleva che si giudicassero i crimini fascisti, compiuti fuori del paese. In più per tutta la seconda metà del novecento la guerra fredda ha sostituito quella combattuta. Usa e Urss si sono sfidate in un’assurda corsa agli armamenti che per decenni ha retto il mondo sull’equilibrio di due superpotenze che si opponevano e regolavano, nelle rispettive zone di influenza, le contese delle singole nazioni. E’ quindi accaduto che la superiore ragione di Stato, la necessità di legittimare l’ingresso della Germania nel fronte occidentale, abbiano vinto sull’esigenza di verità. Sono rimasti inascoltati i familiari delle vittime, i Sindaci dei paesi dove si consumarono questi orribili massacri contro le loro popolazioni, i Comitati sorti per commemorare questi morti e chiedere giustizia per il loro sacrificio.
Oggi, dopo la fine della guerra fredda, quando ormai è stato abbattuto il muro di Berlino e da più di dieci anni l’Urss ha lasciato il passo a tante repubbliche indipendenti e da poco la Russia, ha un ruolo di partner con la Nato, si può procedere con maggiore serenità alla ricerca della verità e della giustizia. Nessuna vendetta, nessuna volontà di persecuzione verso anziani che hanno portato per decenni dentro di sé i loro orribili segreti. Vogliamo, però, conoscere i nomi dei responsabili, vogliamo che sia chiarito il loro ruolo nei massacri, vogliamo che siano scritte da un tribunale le loro responsabilità in questi feroci eccidi e stragi, che non furono atti di guerra, né in gran parte rappresaglie, ma l’attuazione di un diabolico piano di sterminio della popolazione civile per evitare che fossero di supporto ai partigiani e agli alleati. 

Per questo riteniamo utile che anche nella nostra regione si raccolgano materiali e testimonianze per riaprire le indagini sui numerosi ed efferati crimini, i quali essendo delitti contro l’umanità non possono essere in alcun modo prescritti. 
A questo fine si è voluta realizzare una Indagine conoscitiva sui crimini nazifascisti perpetrati in Umbria tra il 1943 e il 1944.

 

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