Domenica 20 Giugno 2004
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"Quaranta martiri, un caso da riaprire"
"Un fascicolo per fare piena luce sulla strage nazista sarà consegnato a Gubbio da Casini"    secs

di Alberto Stramaccioni

Sessant’anni fa, nel giugno del 1944 a Gubbio, un plotone nazista trucidava quaranta cittadini inermi. Fu l’eccidio più barbaro compiuto in Umbria dai soldati tedeschi in ritirata, tra il settembre 1943 e il giugno 1944, mentre risalivano l’Italia verso la Germania. Attraversarono la nostra regione da sud a nord in diverse direzioni, seminando terrore, distruzioni e compiendo decine di eccidi fino ad uccidere centinaia di civili. Combattevano contro le formazioni partigiane in tutto il centro-nord, ma molto spesso la loro ferocia si rivolgeva verso bambini, vecchi, donne e uomini disarmati, fino a provocare le stragi più orrende, come quelle di Marzabotto, Sant’Anna di Stazzema e tante altre che portarono alla morte di oltre quindici mila cittadini italiani.


Quella di Gubbio fu una strage compiuta all’alba del 22 giugno, da un plotone della Wehrmacht, che fucilò quaranta cittadini, tra cui due donne, madre e figlia, per “rappresaglia” all’azione partigiana subita due giorni prima. Il 20 giugno infatti, nel pieno passaggio del fronte lungo la via Flaminia, che costituiva una delle strade su cui transitava l’esercito tedesco in ritirata, una pattuglia di uomini armati della Gap (guardia di azione patriottica) nel primo pomeriggio, sparò a due ufficiali germanici della sanità che erano entrati in un bar del centro storico eugubino. Uno dei due graduati morì all’istante, mentre l’altro gravemente ferito, riuscì a salvarsi. Dopo quest’azione il comando tedesco, iniziò un’opera di rastrellamento e aiutato dai fascisti locali, arrestò circa centosessanta ostaggi. Con quest’atto i militari della Wehrmacht eseguivano l’ordine emanato dal maresciallo Kesserling che intendeva colpire i cosiddetti “fiancheggiatori” delle azioni partigiane, non lasciando più spazio alla distinzione tra la figura del combattente e quella del civile. Si dichiarava così una specie di “guerra ai civili” condotta da nazisti e fascisti tra l’aprile e il giugno del ’44, quando cioè i comandi tedeschi, pur di disporre di retrovie libere al fine di fronteggiare la crescente offensiva delle truppe alleate, decisero di adottare una strategia di tipo terroristico, per stroncare qualsiasi forma di collaborazione tra la popolazione civile e i partigiani. 
A Gubbio scelsero così quaranta cittadini, tra i centosessanta rastrellati, e nonostante l’intervento del Vescovo, vennero fucilati dopo essere stati costretti a scavarsi una fossa per seppellire i loro cadaveri. 
Purtroppo per questo eccidio, come per molti altri, non è stato celebrato nessun processo penale che rendesse in qualche modo giustizia. Di fronte all’efferatezza di queste stragi, veri e propri delitti contro l’umanità e perciò stesso imprescrittibili, il passare del tempo non può certo attenuare la necessità di una condanna e l’esigenza dell’esecuzione della pena. Nell’attesa che si riaprano i processi (come già avvenuto per Sant’Anna di Stazzema) coltivare la memoria può e deve supplire alla mancanza di giustizia per mantenere vivo il ricordo e il giudizio di valore che in esso è connaturato.
E’ quindi un fatto particolarmente significativo che sessant’anni dopo, martedì, il presidente della Camera dei Deputati sarà a Gubbio per rendere omaggio alla memoria dei quaranta martiri e consegnare alla città una copia (fino ad oggi secretata e in mano alla Procura Militare della Repubblica presso il Tribunale Militare di Roma) del fascicolo riguardante l’eccidio. Questo documento, insieme ad altre centinaia è stato possibile acquisirlo, grazie all’azione di una speciale “commissione parlamentare d’inchiesta sulle cause dell’occultamento dei fascicoli relativi ai crimini nazifascisti” costituitasi, con una apposita legge approvata proprio pochi mesi fa. 
L’auspicio è che dopo “l’archiviazione provvisoria” si possa riaprire anche l’inchiesta sui quaranta martiri di Gubbio. La necessità di coltivare la memoria e l’esigenza di fare giustizia deve essere un impegno per onorare i morti, ma anche per fare in modo che la violenza, l’intolleranza, il razzismo e la violazione dei diritti umani non si possano più ripetere.

 

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