Venerdì 28 Maggio 2004
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"Primo, bisogna stabilizzare l'Iraq"
"La situazione irachena discussa sia alla Camera dei Deputati che al Senato"   scecs

Nei giorni scorsi sia alla Camera dei Deputati che al Senato della Repubblica è stata discussa la grave situazione in Iraq a più di un anno di distanza dall’inizio della guerra determinata dall’intervento armato delle truppe americane e inglesi contro la dittutura ultradecennale di Saddam Hussein. Una “guerra preventiva” per annullare le eventuali armi di distruzione di massa che ad oggi non si sono ancora trovate, mentre sono emersi inquientanti rimpalli di responsabilità tra i servizi segreti e i responsabili politici di Usa e Gran Bretagna.


Una guerra che finora, dopo aver destituito Saddam Hussein, ha portato alla morte oltre diecimila civili inermi, un migliaio di soldati americani e venti soldati italiani, insieme ad altri militari e civili di numerosi paesi occidentali. Ma la gestione del Governatore americano Paul Bremer, sostenuto da quasi duecentomila soldati Usa, in un paese di venti milioni di abitanti, divisi in tante comunità etniche e religiose, curde, sciite e sunnite, sta manifestando i suoi forti limiti, ogni giorno meno sostenibili. Attentati sanguinosi, rapimenti e uccisioni di “collaboratori degli americani”, e di musulmani moderati sono all’ordine del giorno con l’emblematica e drammatica decapitazione dell’ebreo americano Nick Berg, da parte della guerriglia espressione dei gruppi più intransigenti del fondamentalismo islamico, che fa riferimento ad Al Queada e a Bin Laden. Azioni terroristiche non certo condivise da tutta la popolazione iraquena, ma che trovano purtroppo un crescente consenso in una parte sempre più estesa dei cittadini provati da distruzioni ed eccidi.
Il popolo americano e l’amministrazione Bush, certamente in misura diversa, (ne sono testimonianza i sondaggi presidenziali sfavorevoli a Bush) cominciano ad avere consapevolezza che l’attuale situazione in Iraq non è più sostenibile anche per le gravissime responsabilità di cui si sono macchiati i soldati Usa, attraverso la pratica delle torture a cittadini inermi. La loro presenza è sempre più vista come una occupazione militare che non lascia la possibilità di autodeterminazione al popolo iracheno, attraverso la conquista di una vera sovranità popolare.
1. Dopo l’abbattimento del regime di Saddam Hussein, sollecitato dagli Usa, il governo italiano in questi mesi, ha inviato tremila soldati insieme alle truppe di altri paesi con l’obiettivo di fornire l’assistenza ai civili e lavorare per la pacificazione del paese. Questa, scelta anche per come è stata compiuta, ha isolato il governo italiano in Europa, giacchè la Francia, la Germania e la stessa Russia avevano considerato inaccettabile la guerra preventiva di Bush, soprattutto in un contesto internazionale dove da più di un decennio sono proprio gli Stati Uniti l’unica superpotenza mondiale.
Questi paesi, mentre si sono battuti per un nuovo sistema ed equilibrio internazionale di tipo multipolare e multinazionale, hanno esercitato un’azione nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu tesa a ridare ruolo e capacità di intervento in Iraq a questa organizzazione internazionale. Ed oggi anche gli Usa e la Gran Bretagna di fronte alla drammatica difficoltà irachena reclamano ed auspicano l’intervento dell’Onu, brutalmente umiliato ed estromesso dall’Iraq quando era alla ricerca delle cosiddette armi di distruzione di massa.
L’Onu che per tanti mesi veniva considerata praticamente un ente inutile per la soluzione del conflitto, oggi si ritiene, attraverso una nuova risoluzione ancora da approvare, uno strumento fondamentale per la pace e l’autogoverno in Iraq.
2. Con questi precedenti e in questo contesto si è sviluppato il dibattito alla Camera dei Deputati sulla base di una comunicazione del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi di ritorno da un incontro con il segretario dell’Onu e il presidente Bush. La discussione, inutile sottolinearlo, ha visto contrapposti i due schieramenti, l’uno sostenitore della politica americana ed inglese in Iraq e l’altro contrario non solo all’iniziale intervento militare, ma oggi decisamente convinto a chiedere il ritiro dei soldati italiani, così come ha già fatto il governo spagnolo di Zapatero. Sulla discussione hanno naturalmente pesato le condizioni e le difficoltà dei militari italiani presenti in Iraq, attaccati dalla guerriglia sciita e sunnita (unificatasi contro l’occupazione americana e i suoi alleati), l’attesa per le notizie sui quattro ostaggi italiani (dopo che la salma di uno, Quattrocchi, non era ancora stata ritrovata). In un clima di forte tensione e contrapposizione il governo Berlusconi ha approvato una propria mozione che mantiene le truppe italiane in Iraq e affida all’Onu l’incarico di dare in poche settimane un nuovo governo al paese, non ancora eletto dal popolo, ma più rappresentativo di quello attuale a guida americana. Ma al di là dei contrasti tra i due schieramenti, legati anche al clima pre-elettorale, la questione centrale che oggi la comunità internazionale ha di fronte è quella del come si esce dalla gravissima situazione irachena nel più breve tempo possibile e soprattutto come si contrasta più in generale il terrorismo internazionale dopo i drammatici eventi dell’11 settembre 2001. Un terrorismo internazionale il quale anzichè essere combattuto efficacemente proprio dalla guerra contro l’Afghanistan e l’Iraq è proprio in Iraq che ha trovato purtroppo nuova forza e risonanza internazionale.
3. Il problema principale è quindi la stabilizzazione militare e politica dell’Iraq e attraverso essa quella dell’intera area mediorientale. E quindi, una volta affermato con convinzione che è stato un gravissimo errore da parte del goveno italiano associare il contingente italiano alle forze Usa e britanniche nella rovinosa gestione del dopoguerra e a mantenere i nostri soldati con regole di ingaggio non adeguate, è proprio l’aggravarsi della situazione che impone con urgenza un appropriato e forte intervento dell’Onu con un ruolo preponderante e con la guida effettiva di un contingente militare multinazionale di pacificazione. E questo obiettivo potrà essere più agevolmente perseguito se ci sarà un ruolo attivo dell’Europa e un ruolo unitario dell’Europa nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu con il coinvolgimento soprattutto di quei paesi come la Russia, la Francia e la Germania che si dichiararono contrari alla guerra preventiva di Bush. In questo quadro non si possono che sostenere con convinzione gli sforzi per la realizzazione del piano predisposto da Lakdar Brahimi inviato del segretario generale dell’Onu Kofi Annan. 
Ci sono diffuse perplessità sulla effettiva possibilità che sia l’Onu a poter guidare questo processo di stabilizzazione e di pacificazione dato lo strapotere politico e militare degli Usa in Iraq e nel mondo. Ma anche per l’amministrazione Bush non ci sono oramai alternative. La grande maggioranza del popolo americano è contro il proseguimento di una guerra inutile e dannosa per contrastare efficacemente il terrorismo internazionale.

 

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