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Mercoledì 12 Gennaio 2011
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"PD LONTANO DAI PROBLEMI DELLA GENTE"
"L’ex segretario democratico di Perugia spara a zero: “La nuova classe dirigente? Vuole solo incarichi nelle amministrazioni”. Stramaccioni: “Unità d’intenti? Permangono litigiosità e logiche di potere oligarchico”"   svevse

di Lucia Baroncini

Stramaccioni, ristoranti e bar sembrano diventati luoghi importanti per la politica del Pd umbro. L’onorevole Gianpiero Bocci, ad esempio, è pronto a mangiare con lei il cibo della pace, per ricucire un rapporto politico in frantumi. Lei che fa, ha già il tovagliolo in mano?
“Preferisco mangiare a casa. Purtroppo i pranzi sono diventati l’unica sede di un presunto confronto politico, che spesso diventa tutt’altro. Poi chi mi conosce sa che non nutro rancori verso nessuno anche perché sono troppo convinto della fragilità delle convinzioni dei molti che fanno politica. Detto questo, oggi è necessario più che mai parlare di politica come impegno individuale e collettivo per difendere l’interesse generale del Paese, e non di persone”.

Come vede la riappacificazione fra l’ex presidente Maria Rita Lorenzetti e Bocci? 
“Non so se hanno fatto pace. Io francamente non ho capito qual è stato il punto vero del loro presunto conflitto. Con tutto rispetto, mi sembra che rappresentino due facce della stessa medaglia politica. Stessa concezione e gestione del potere, stessa idea delle istituzioni e del rapporto con i cittadini e le forze sociali, stessa prioritaria ricerca del consenso a scapito di un vero progetto di riforme e di modernizzazione della società e delle istituzioni. Il rischio è che ci si rassegni ad una pura gestione del potere senza alcun progetto politico generale. Ma questa è una strada che, come si è visto, non porta lontano né i singoli protagonisti né le comunità che si vorrebbe rappresentare”.

 

Il Pd ha compiuto tre anni. Ma nel suo partito tutto sembra un eterno, incerto cantiere, dove ogni cosa è rimessa ogni giorno in discussione. Ora invece sarebbe il momento giusto di dare certezze ai cittadini, non trova?
“Nella situazione politica attuale, con il centrodestra e Berlusconi in crisi, il Pd rischia di essere ininfluente nel determinare una nuova prospettiva politica per il Paese”.

Perché, secondo lei?
“Perché i cittadini stentano a considerarlo utile ad affrontare e risolvere i loro problemi quotidiani”.

Cosa consiglia di fare?
“Occorre riflettere su alcune questioni, in primo luogo sul modo di essere del partito nella società, segnato com’è da un incerto profilo politico e culturale che non riesce a tradurre in un costruttivo dibattito interno le sollecitazioni sociali che dovrebbe e potrebbe raccogliere. Qui sta una delle ragioni della perdita dei consensi. Si deve allora rispondere ad alcuni interrogativi: si è lavorato a sufficienza per amalgamare il gruppo dirigente e le diverse culture politiche? Si è realmente affermata una nuova classe dirigente in discontinuità con quella dei Ds e della Margherita? Si è definito con chiarezza un progetto di riforme per governare il Paese? E perché il Pd non è percepito come il perno di un’alternanza di governo che possa esprimere un’alternativa credibile al governo Berlusconi anche attraverso un forte e popolare leader”.

Belle domande. Ne va aggiunta un’altra: e le primarie che fine dovrebbero fare?
“Credo che debba essere cambiato il rapporto che si è costruito tra Pd, iscritti, cittadini ed elettori attraverso le primarie, nelle quali sia a livello nazionale che regionale si è registrata un’indubbia partecipazione che nessun altro partito sarebbe in grado di promuovere e sostenere. Ad oggi tuttavia le primarie vengono invocate e praticate di fronte ad insanabili conflitti interni per giungere comunque ad una decisione, alimentando una contrapposizione correntizia e personalistica, che ha finito col deresponsabilizzare i gruppi dirigenti del nuovo partito. Non è un caso che laddove si sono tenute le primarie per necessità, non è stato certo il centrodestra a vincere, ma il centrosinistra a perdere. Spero che nelle prossime elezioni amministrative non si commettano gli stessi errori”.

Oggi si sostiene che nel Pd stia prevalendo la coesione, l’unità di intenti. Non è vero?
“Di quale pacificazione di parla? E’ mancato e manca il coraggio di svincolarsi dalle vecchie contrapposizioni congressuali e correntizie che hanno prodotto effetti laceranti, attraverso una permanente litigiosità che è stata ed è causa non secondaria della perdita di affidabilità e del consenso del Pd. Un forte e qualificato pluralismo interno, necessario in ogni partito realmente democratico, non può trasformarsi in una degenerazione dove prevalgono solo logiche di potere oligarchiche, a scapito di un vero confronto politico e culturale e della qualità stessa della sua classe dirigente. Questa valutazione vale per la componente ex Dc - Margherita, ma anche per gran parte degli ex Pci - Ds. Autorevoli dirigenti di opposte provenienze si scontrano in una lotta senza quartiere, in assenza di qualsiasi caratterizzazione politica finendo con l’essere due facce della stessa medaglia che ha le stesse concezioni e pratiche del potere e del rapporto tra cittadini e istituzioni. La sconsolante conseguenza di tutto ciò è che per poter partecipare alla vita interna del Pd è indispensabile l’appartenenza ad una corrente nazionale o regionale o ad una sub corrente personale o territoriale. Chi rifiuta queste logiche, per convinzione politica e culturale, non può svolgere alcuna funzione politica”.

Analisi impietosa. Ma negli ultimi congressi si è affermata una nuova classe dirigente, soprattutto nella provincia di Perugia. Non la convince?
“Nel Pd si è persa la centralità della politica e l’autonomia del partito assieme al ruolo specifico del dirigente politico. Capisco che a molti possa far comodo la riduzione del partito a semplice comitato elettorale, ma senza la formazione di una classe dirigente e di una radicata organizzazione territoriale in grado di elaborare un progetto, tutto si riduce ad una tristissima gestione del potere utile solo a ristrette oligarchie. Non ne faccio una questione di singoli o personale, perché purtroppo è tutta una generazione così. Quando si eleggono segretari che ai diversi livelli considerano la loro funzione come un trampolino di lancio per incarichi nell’amministrazione locale o un luogo di parcheggio in attesa di qualcos’altro, o addirittura pensano di mantenere incarichi politici e amministrativi, allora si viene a perdere l’orgoglio, l’autonomia e la libertà che dovrebbe competere alla direzione politica di un partito”.

L’indagine della magistratura, la famosa “sanitopoli”, non ha ancora provato reati e responsabilità certe. Ma qualche insegnamento sì. Quali, secondo lei?
“Non parlerei di ‘sanitopoli’ né di ‘folignopoli’, bensì di ‘politopoli’ perché sono emerse una certa idea e pratica politica. Credo che nella più rigorosa e reciproca autonomia fra politica e magistratura, tocca alla politica raccogliere gli interrogativi e dare risposte ai problemi emersi dall’inchiesta, al di là di eventuali responsabilità penali e personali, tutte da verificare. Stare in silenzio, cercare vittimistiche solidarietà o peggio voler considerare tutti uguali e tutti responsabili in egual misura non solo non corrisponde, fortunatamente, alla realtà dei fatti ma contribuisce a screditare la politica, il Pd e chi la concepisce e la pratica con un forte disinteresse personale”.

Perché tutto questo avvenga molto dipende dal suo partito, il Pd, e anche dalle nuove amministrazioni che governano Regione, Province e Comuni. Ne hanno la forza?
“Occorre un partito il più possibile unito e responsabile che, nella società come nelle istituzioni, sappia raccogliere la sfida riformista e modernizzatrice. L’Umbria, più di altre realtà, è interessata a questo processo, proprio perché una fase del suo sviluppo, grazie ad un irripetibile flusso di spesa pubblica, si è esaurito senza che il suo sistema produttivo si sia adeguatamente modernizzato e gli squilibri territoriali e settoriali siano stati superati”.

Riforme, dunque. Quali, secondo lei, potrebbero cambiare la situazione a vantaggio dell’Umbria?
“La razionalizzazione del nostro sistema di welfare, una riforma vera e profonda della pubblica amministrazione che semplifichi, razionalizzi, liberi risorse e dimostri più efficienza, svincolandosi da sprechi. Nonostante i tagli si possono trovare risorse e sostenere progetti per il potenziamento del sistema infrastrutturale, funzionale ad una nuova idea di sviluppo, basato su una industria manifatturiera che privilegia i settori più innovativi, sul turismo, la produzione dei beni immateriali, della conoscenza, delle risorse culturali e dei servizi”.

Le amministrazioni, in primo luogo quella regionale, hanno imboccato la strada giusta delle riforme?
“Vedove inconsolabili, donne e uomini, cercheranno di conservare lo status quo per la perdita del loro potere, ma io voglio avere fiducia nella presa di posizione del settembre scorso degli amministratori comunali, provinciali e regionali del Pd che, pur nel rispetto dell’autonomia fra partito e istituzione, hanno affermato di voler lavorare per una politica autenticamente riformatrice. Occorre coraggio e determinazione nell’imboccare questa strada soprattutto da parte di quanti sono diventati, non senza grosse resistenze, la nuova classe politico – amministrativa della regione”.

Lei non ha più incarichi nel Pd. Quali sono i suoi rapporti con il partito? Pensa di dare un contributo per il futuro o ritiene al momento esaurita la spinta propulsiva per un impegno politico diretto?
“Da quando ho rinunciato alla candidatura a segretario non ho ricevuto né richieste di incontro né proposte di alcun genere. Tutto ciò mi rattrista non più di tanto. Quello che mi indigna è il fatto che si tiri in ballo il mio nome per sostenere o contrastare questo o quel presunto incarico senza avere nemmeno il coraggio di parlarne con me. Dopo un decennio alla guida del partito e due mandati parlamentari non chiedo alcunché. Continuerò la mia battaglia politica come ho sempre fatto in piena autonomia e libertà”.

 

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