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Sabato 04 Giugno 2011

"STRAMACCIONI APRE LA QUESTIONE MORALE"
"Intervista ad Alberto Stramaccioni"    svsevsv

di Lucia Baroncini

PERUGIA – Che fine ha fatto Alberto Stramaccioni? Ricordate,
l’uomo politico che è stato segretario regionale dei Ds per quasi dieci anni, quindi deputato, infine segretario provinciale di un Pd ancora in fasce. Poi più niente, politicamente parlando. Solo appassionate ricerche storiche, scrittura di libri, manutenzioni di amicizie, conversazioni con quanti per telefono o lungo corso Vannucci con sempre maggiore affanno gli chiedono consigli o pareri sulle alterne vicende della politica umbra. Il silenzio, insomma.
Invece eccolo, critico come non mai nei confronti del suo partito. “C’è una questione morale”, sostiene volgendo lo sguardo verso i lidi democratici umbri. Scortica il Pd, l’ex segretario, denunciando con brutale sincerità la sua attuale inadeguatezza. 


Allora, Stramaccioni, non s’è stancato di fare il grande esule della politica umbra? Nel suo partito, il Pd, da tempo lei non partecipa più a riunioni e discussioni. Se ne sta in disparte. Che fa, si disimpegna?

“In questi mesi sono rimasto in silenzio di fronte alla progressiva degenerazione correntizia del Pd che ha cambiato radicalmente il modo di fare politica riducendola solo a pratica amministrativa e non sempre realizzata in modo corretto e trasparente come si va evidenziando. Per questo il Pd anche e soprattutto di fronte alle più recenti indagini della magistratura non può certo autoassolversi, come invece sembrerebbe voler fare”.

Che mai può fare il Pd, di fronte all’azione degli inquirenti che, come lei sa, va lasciata libera di svilupparsi e di arrivare a verità?

“C’è l’incapacità o la non volontà di dare una lettura e una risposta politica alle inchieste della magistratura. E questo ha preoccupato molti democratici e io stesso ho ricevuto numerose sollecitazioni a reagire. Fortunatamente hanno aderito al Pd non solo quelli che intendono la politica come impegno per soddisfare interessi personali e di gruppo. Molti credono o credevano che il Pd potesse essere un partito di forte cambiamento e rinnovamento anche in Umbria. Invece, l’immagine del Pd in queste settimane è stata pesantemente compromessa tanto dalle indagini della magistratura, quanto dall’assenza di qualsiasi reazione e risposta. A volte il silenzio risulta particolarmente assordante”.

Secondo lei, a cosa si deve questo silenzio? E’
semplicemente per rispetto della magistratura, o perché l’imbarazzo politico è grande? Può essere che il silenzio sia sintomo di un disagio più profondo?

“Il Pd purtroppo, in Italia come in Umbria, non è un partito in crisi, ma un partito mai nato, una giustapposizione di logiche di potere fra ex Ds e ex Margherita. Chi non ha tessere o preferenze non ha alcuno spazio politico nel Pd.
La sconsolante conseguenza di tutto ciò è che per poter partecipare alla vita di questo partito è indispensabile l’appartenenza ad una corrente nazionale o regionale o ad una sub corrente personale e territoriale. Chi rifiuta, per convinzione politica e culturale, queste logiche non può svolgere alcuna funzione politica”.

E ora c’è la magistratura che incombe. Fa il suo dovere, dicevamo. Qual è quello della politica, in una fase tanto delicata?

“Alla politica e al Pd, partito di maggioranza relativa in Umbria, spetta di fare altrettanto il proprio dovere cominciando almeno a riflettere sui caratteri di mutamento genetico che il Partito democratico è andato assumendo, per provare a rilanciare il suo progetto riformista.
L’appannamento o la scomparsa di questa prospettiva sono una causa non certo secondaria dell’attuale crisi politica del Pd”.

Che idea si è fatto delle inchieste in corso?

“Le indagini della magistratura del 2007, 2008, 2009 e quelle di oggi mettono in evidenza o confermano valutazioni politiche che non possono sorprendere chi è in buona fede.
Esiste ormai anche in Umbria una questione morale che è innanzitutto espressione della crisi di una certa idea della politica orgogliosamente autonoma dai potentati economici; con un proprio progetto riformista e modernizzatore della società; ispirata a precisi valori e principi; perseguita in trasparenza e democrazia da una autorevole e stimata classe dirigente”

Lei ritiene che questa idea della politica non si sia sufficientemente affermata nel Pd?

“Io ritengo che se non si reagisce rapidamente e con chiarezza, anche attraverso le indagini della magistratura si consolida una immagine del Pd segnata solo da lotte interne, degenerazioni correntizie e clientelari, dove prevale la gestione del potere legato al governo della spesa pubblica”.

Le indagini sono ancora aperte, i reati contestati tutti da dimostrare. Non pensa che occorra un po’ di prudenza, rinviare cioè il giudizio politico all’accertamento dei fatti e della loro rilevanza penale?

“Innanzitutto c’è da dire che la responsabilità penale è personale. Dall’inchiesta degli inquirenti emergono diversi capi di imputazione con diversi livelli di responsabilità più o meno gravi. Dovrà essere la magistratura a verificare l’esistenza dei reati e la loro natura. Ma io credo che rispetto ad essi nessuno possa invocare solidarietà politiche né pensare di autoassolvere se stesso. Nessuno può dire che, siccome molti sono gli inquisiti, allora nessuno è colpevole. Detto questo, ritengo che chi è chiamato in causa con pesanti accuse e ha il massimo delle responsabilità politiche e istituzionali deve dimostrare grande senso di responsabilità e grande rispetto per le istituzioni che rappresenta”.

E come deve dimostrarlo, secondo lei?

“Per opportunità politica deve trarne le conseguenze al di là dei possibili esiti delle indagini della magistratura.
Per il Pd sarebbe un’occasione persa non sollecitare una tale presa d’atto. Certamente non è condivisibile un cinico giustizialismo, ma è ben più grave l’autoassoluzione di chi per primo dovrebbe difendere una certa etica pubblica”.

Lei dice tutto ciò nei giorni della scintillante vittoria del centrosinistra a Milano, Napoli e in numerose altre città italiane. Non le sembra di essere troppo severo, soprattutto nel valutare lo stato di salute del suo partito?

“Io spero che si apra una nuova prospettiva nazionale per il Pd e il centrosinistra, superando l’esperienza di un partito a cui manca una identità e una fisionomia politica e progettuale unitaria in grado di intercettare il consenso di una parte dell’elettorato proveniente dalla disarticolazione dell’aggregato berlusconiano. Esiste d’altronde un’area politica e sociale moderata, colpita dalla crisi economica, dalla involuzione morale del sistema democratico che aveva creduto nel centrosinistra come soggetto riformatore e modernizzatore e che oggi è in cerca di nuovi approdi. Con la crisi dell’assetto berlusconiano il sistema politico italiano è destinato a riarticolarsi radicalmente”.

Anche in Umbria il centrosinistra ha vinto in importanti Comuni. Come valuta il risultato elettorale?

“Positivamente, se rapportato alle lotte interne e alle lacerazioni dei mesi precedenti. Il centrosinistra ha consolidato la sua forza elettorale sia pure dentro logiche sempre più correntizie, basta guardare i consiglieri eletti e le preferenze attribuite. Ma che giudizio avremmo dovuto dare sul recente voto amministrativo se quaranta o cinquanta cittadini su oltre centomila non avessero votato per il centrosinistra in almeno due Comuni?”.

E’ oggi più che mai attuale la domanda: che farà da grande Stramaccioni?

“Non cerco incarichi, ma non rinuncio ad esprimere in libertà e autonomia le mie opinioni che per alcuni possono essere fastidiose, ma da molti altri sono condivise. Dopo l’estate cercheremo di dar vita ad una rivista per dare un significato politico e culturale ad un progetto riformista e modernizzatore della società e dello Stato in Italia come in Umbria”.