Pd al bivio Stampa
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Mercoledì 24 Ottobre 2012

Da qualche mese oramai stiamo assistendo ad una profonda destrutturazione del nostro sistema politico che sarebbe sbagliato interpretare come una riduttiva e generica crisi della politica. La realtà è ben più grave e l’ Italia come tutto il mondo occidentale è attraversata da una profonda crisi della democrazia quale strumento di governo dei conflitti tra i cittadini e le istituzioni elettive soprattutto in questi anni di forte crisi economica e finanziaria destinata a ridefinire modelli di vita e rapporti geopolitici nell’intero pianeta.

Tutto ciò non può certo indurci a sottovalutare l’indignazione dei cittadini per le diffuse ruberie e scandali che ogni giorno riempiono le cronache dei giornali ,ma non dovremmo comunque considerare inutili o peggio dannosi i costi della politica. La questione morale, oramai cosi diffusa, esprime infatti la crisi di una politica distorta che si occupa esclusivamente dell’interesse personale o di gruppo a discapito di quello collettivo, ed è esageratamente costosa mentre abolisce gli strumenti della partecipazione democratica danneggiando pesantemente gli stessi partiti politici e la loro credibilità.

Per quasi mezzo secolo in Italia e in Europa i partiti politici sono stati utili a rappresentare gli interessi dei cittadini e i parlamenti i luoghi dove il conflitto e la mediazione si sono espressi.

Oggi,almeno dagli inizi degli anni novanta tutto questo è saltato (anche ,ma non solo per l’inchieste della magistratura sui fenomeni corruttivi) e i nuovi partiti politici (chi più chi meno) hanno subito delle mutazioni identitarie,organizzative ed anche genetiche tali da esprimere poi un ceto politico dirigente più costoso e non certo più virtuoso della società civile che intendevano rappresentare.

In quest’ultimo ventennio non si è quindi riusciti a rifondare e rilanciare la “democrazia dei partiti”,ma nemmeno ad inventare niente di nuovo ,nessun modello politico-organizzativo per rispondere alle esigenze della partecipazione democratica in una società in continua evoluzione tecnico-scientifica,culturale ed economica. Di fronte al malessere sociale o alle competizioni elettorali si sono rilanciati i vecchi strumenti della antipolitica come il populismo ,un certo leaderismo e da ultimo sono state importate le elezioni primarie e per finire la rottamazione. Si sono sperimentati i partiti-persona,i partiti di plastica,il movimentismo dei comici e degli ex magistrati o degli imprenditori che hanno riprodotto ,accentuandoli i limiti e le degenerazioni dei vecchi partiti. Tutto ciò ha finito con il deresponsabilizzare e quindi delegittimare il partito politico e il suo ceto dirigente che oggi rischia di amministrare delle scatole vuote, comunque considerate responsabili della degenerazione della politica.

Cinque anni fa ,la nascita del Partito Democratico in Italia come in Umbria esprimeva una risposta alla crisi del sistema politico con un progetto riformista ambizioso ,ma che è entrato in difficoltà al momento stesso in cui veniva messo alla prova della difficile situazione italiana.

Il suo ceto dirigente(anche se difficilmente amalgamato)aveva la responsabilità di offrire in modo unitario un progetto riformatore al paese costruendo un nuovo strumento politico-organizzativo più radicato nella società italiana. Ma questo obiettivo è stato invece fallito fino a dividersi in gruppi e sottogruppi in omaggio ad un presunto pluralismo interno che ha portato invece ad una degenerazione correntizia ,ragione non ultima delle sue attuali difficoltà.

Oggi come sempre il rinnovamento dei gruppi dirigenti di un partito e quindi anche del Pd è una necessità fisiologica,ma non certo risolutiva se a cambiare è la guida politica magari con un sovrappiù di correntismo,mentre rimane inalterata la sua ridotta funzione sociale e non si esprime una politica autenticamente riformatrice per far fronte ai difficili problemi della società italiana.

Le esperienze di questi anni ci hanno dimostrato che un autentico partito democratico deve ancora nascere in Italia come in Umbria unificando le culture riformistiche e costruendo una struttura politico-organizzativa rinnovata innanzitutto nel suo ceto dirigente che soprattutto in una regione come la nostra soffre di una forte identificazione con la pubblica amministrazione. Sul tema del rinnovamento, questione tanto e sempre discussa, non si tratta di inventare cose particolarmente originali ,ma attuare regole e principi che ci si è già dati con lo statuto ed il codice etico, sul reclutamento degli iscritti, sulla trasparenza delle fonti di finanziamento, sull’elezione e il funzionamento degli organismi dirigenti,sulla selezione e i mandati dei rappresentanti nelle istituzioni e su tante altre questioni ancora. Serve naturalmente in Italia come in Umbria un ceto dirigente consapevole della crisi attuale e determinato a cambiare realmente le cose. Se non c’e tutto ciò la crisi della politica è destinata inesorabilmente ad aggravarsi.

Si obietterà che questi propositi non trovano più da anni ascolto e non c’è nemmeno la convinzione che possano contribuire a superare la crisi della politica e della democrazia. Può darsi,ma una strada diversa da questa, perseguita negli ultimi anni, anche con supponente superficialità ed approssimazione , ci ha condotto alla drammatica situazione di questi mesi. Ed oggi anche per il Pd si è giunti ad un bivio di fronte al quale appare necessario imboccare la strada del male minore, se non si vuole smarrire per sempre la possibilità di una sua rifondazione e rigenerazione. Non è una grande prospettiva ,ma per ora, non sembra esserci niente di meglio.