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Mercoledì 15 Luglio 2009

"UN IMPEGNO TRA POLITICA E CULTURA"
"Ad un anno dalla scomparsa di Raffaele Rossi (1923-2009)"

di Alberto Stramaccioni

Un tratto caratteristico dell’esperienza di vita compiuta da Raffaele Rossi sta sicuramente nella particolare capacità di saper sostenere un’intensa azione politica con una significativa elaborazione culturale.
Questa inclinazione intellettuale era comune a tutti quei giovani dirigenti che, nati negli anni venti, si impegnarono a partire dal secondo dopoguerra nelle file del partito nuovo di Togliatti, ma nel Pci umbro prevalentemente contadino e operaio, la sua azione politica e culturale assunse un particolare significato.


Dirigente dei giovani comunisti del 1944 è poi segretario della importante Federazione provinciale del Pci dal 1950 al 1956 e della Federazione di Terni dal 1956 al 1966 e successivamente dal 1967 al 1969 e dal 1973 al 1975 il Comitato regionale del Pci.
Allievo politico della prima generazione dei dirigenti del Pci umbro come Armando Fedeli, Mario Angelucci, fino Scaramucci e Carlo Farini, Raffaele Rossi e sicuramente uno dei più attivi esponenti delle seconda generazione dei comunisti umbri insieme a Pietro Conti, Gino Galli, Settimio Gambuli, Lodovico Maschiella, Ezio Ottaviani e Ilvano Rasimelli. E di entrambe le generazioni politiche portava con sé le virtù e i limiti.
Il Pci era un partito di stampo leninista-togliattiano con un carattere popolare e di massa, ma il centralismo democratico limitava drasticamente la libera espressione delle proprie opinioni e da questo vincolo non era facile liberarsi. Raffaele Rossi pur all’interno dell’ortodossia comunista cercò di ritagliarsi un suo spazio autonomo di riflessione.
Dirigeva una organizzazione come il Pci dell’Umbria che pur rimanendo ancorato al modello terzinternazionalista del partito nel 1956 con l’VIII Congresso e l’invasione dell’Ungheria (di fronte ai silenzi di Palmiro Togliatti sugli anni e i crimini dello stalinismo) riuscì ad aprire un vivace dibattito negli organismi dirigenti, nelle sezioni e nelle piazze. Ma il dissenso sulle responsabilità dell’Unione Sovietica non raggiunse in Umbria livelli tali da farne un caso e prevalere una certa ortodossia e ossequio verso le posizioni della Direzione nazionale del partito. Palmiro Togliatti nel 1956 è a Perugia per intervenire ad una manifestazione alla Sala dei Notari e riceve il sostegno dei comunisti umbri alle sue posizioni mentre la piazza è presidiata dalle forze di polizia che isolano una manifestazione della destra, ma anche di cittadini democratici che dissentono dalla posizioni di solidarietà con l’Urss espresse dal Pci. Solo alcuni intellettuali perugini, sulla scia del “manifesto dei 101”, esprimono il proprio dissenso e in particolare l’antropologo Tullio Seppilli. Ma tra essi c’è anche Fernanda Maretici e Giuseppe Granata docente di storia e filosofia, consiglieri comunali a Perugia assieme a Guglielmo Nocera insegnante di diritto alla facoltà di giurisprudenza. Pochi sono i dirigenti politici del Pci umbro che avanzano critiche verso la politica di Togliatti. Tra questi vanno annoverati Orfeo Carnevali e Pio Baldelli che uscirà per la seconda volta dal partito. Tuttavia incertezze e dubbi, come risulta dai documenti si ritrovano nel dibattito del partito comunista in Umbria. Per questi si discute animatamente anche nelle organizzazioni di base sul complesso della strategia del movimento operaio italiano ed internazionale, ma non emergono dissensi particolari mentre a Terni si manifestavano le posizioni di più acritico sostegno alla politica filosovietica del Pci.
Un’ altra tappa del dibattito interno al Pci particolarmente significativo perché si svolge dopo la morte di Togliatti è l’XI Congresso nazionale nel 1966, dove per la prima volta alla luce del sole due linee politiche si contrappongono. Da una parte Giorgio Amendola portatore di una politica autenticamente riformatrice fondata sull’alleanza di governo tra comunisti, socialisti e laici, la nuova maggioranza e dall’altra Pietro Ingrao sostenitore delle lotte del movimento di massa contro i monopoli e per il dialogo con i cattolici.
Le posizioni espresse da Ingrao esercitano in Umbria una certa attrazione anche per la continua frequentazione che il dirigente ha con la regione fin dal 1948 e soprattutto nel corso degli anni Cinquanta e Sessanta. Infatti è dal 1958 che viene candidato ed eletto parlamentare dell’Umbria, alla Camera dei Deputati. Ma non è certo la maggioranza del partito che si riconosce nelle sue posizioni e sono infatti pochi coloro che nel corso del dibattito sostengono le sue argomentazioni. Lo fanno in particolare un nucleo di giovani comunisti a Perugia e con questi Ilvano Rasimelli assieme a Francesco Mandarini. Altri membri del gruppo dirigente condividono le posizioni di Ingrao sui temi della democrazia interna, come fa lo stesso Raffaele Rossi nella relazione al congresso di Terni ma non si schierano apertamente sul complesso delle sue posizioni.
Più spesso negli anni successivi, da parte di molti dirigenti del Pci, l’ingraismo o l’adesione formale alle posizioni di Ingrao è stata utilizzata per muoversi poi con grande disinvoltura nel dibattito, ma soprattutto nell’azione politico-amministrativa dove le coerenza tra il dire e il fare è stato un obiettivo troppo spesso, poco realizzato.
Analogamente alle vicende del 1956 e del 1966 il Pci in Umbria anche nel 1968 manifesta una particolare ortodossia rispetto alle posizioni espresse non solo dalla Direzione nazionale salvo rarissime eccezioni mentre alcuni settori condividono perfino le posizioni più filosovietiche. Dopo l’invasione della Cecoslovacchia da parte dei carri armati sovietici per bloccare l’esperienza di un “socialismo diverso” attraverso la primavera praghese si registra la critica espressa dalla Direzione Nazionale del Pci alla politica del Pcus. Ma questa presa di posizione non trova tutti d’accordo nel Pci dell’Umbria.
A Terni undici membri del Comitato federale del Pci guidati dal deputato Alberto Guidi votano contro l’ordine votano contro l’ordine del giorno che approva la posizione di condanna assunta dalla Direzione nazionale del Pci nei confronti dell’intervento sovietico in Cecoslovacchia nell’agosto del 1968. Anche nella Federazione perugina del Pci, ci sono dirigenti che qua e là non condividono la condanna dell’intervento, ma questa posizione non trova nessuno spazio ed espressione nel Comitato Federale e nelle discussioni degli organismi dirigenti. Al contrario un dirigente del Pci, presidente dell’Amministrazione Provinciale di Perugia Ilvano protesta per l’invasione dell’Urss con un telegramma inviato all’Ambasciata sovietica a Roma prima che la Direzione Nazionale prendesse posizione.
Raffaele Rossi non amava schierarsi apertamente per questa o quella fazione nella lotta politica locale e nazionale interna e questo atteggiamento tenne anche nel corso dei conflitti particolarmente aspri in Umbria nel 1970, 1976, 1987 o nel 1990-91, quando si trattava di discutere per scegliere il Presidente della Giunta Regionale. Nel 1990-91 di fronte alla caduta del “muro di Berlino” partecipò con passione al dibattito che si aprì e manifestò la sua sofferta convinzione di cambio a nome, simbolo, programma al Pci per costruire una vera alternativa di governo e riformista in Italia. Un obiettivo che riteneva utile continuare a perseguire anche nella cosiddetta seconda Repubblica con l’alleanza dell’Ulivo prima e da ultimo volle riporre le sue speranze nella nascita del Partito Democratico.
2. L’intensa attività alla guida del Pci non ha impedito a Raffaele Rossi di proseguire i suoi studi e le sue ricerche storiche mentre cercava proprio attraverso la sua attività politica, parlamentare e amministrativa di costruire relazioni e rapporti con gli intellettuali e le istituzioni culturali della città e della regione.
Raffaele Rossi si iscrive e diventa dirigente di una partito a Perugia che negli anni Cinquanta è composto essenzialmente di contadini, mezzadri e braccianti in particolare e operai con limitate adesioni dei ceti artigianali e quasi nessun intellettuale nel contesto di una società cittadina e regionale particolarmente arretrata. Il suo gruppo dirigente nelle città e nei territori dell’Umbria era espressione di questa realtà sociale.
Rossi Maestro elementare si era laureato, pur non avendo potuto compiere studi regolari, in anni molto difficili e la passione per l’insegnamento era stata accantonata per compiere la scelta di fare il “rivoluzionario di professione del Pci”.
In sintonia con la tradizione socialista umbra Raffaele Rossi dall’immediato dopoguerra era uno di quei “maestri” che alfabetizzava il partito nuovo, ma in una realtà sociale come soprattutto quella perugina dove a differenza della Toscana e dell’Emilia la borghesia intellettuale e cittadina era molto distante dal Pci. L’esistenza poi di due Università e di una diffusa borghesia delle professioni rendeva questo problema ancora più acuto. Pesava nel Pci la diffidenza della cultura contadina e mezzadrile verso le istituzioni universitarie e la cultura era considerata “uno strumento dei padroni” per sfruttare i ceti sociali più poveri. Una subalternità che ha segnato per decenni la classe dirigente politico-amministrativa del Pci. In più quello universitario era il mondo de democristiani e quindi era negli anni dello scontro ideologico e della guerra fredda era giustificata una certa diffidenza.
Rossi cercò di modificare gradualmente, ma con determinazione questa subalternità del Pci alle istituzioni culturali, formative ed accademiche.
Iniziò con l’affrontare, con indagini economiche i temi del rapporto città e campagna nella formazione culturale e problemi della scuola e più in generale della realtà economico-sociale delle città e della regione. Proseguì con una serie di studi le riflessioni sulla storia politica dell’Umbria dal risorgimento in poi segnalando il ruolo dei diversi ceti sociali e delle classi dirigenti affrontando poi il tema della identità regionale come “regione di città” policentrica, adatta a progettare e realizzare autentiche politiche di sviluppo interregionali.
Partecipò alla esperienza della programmazione economica dello sviluppo negli anni sessanta concependola come un occasione per superare l’arretratezza economica ed attuare delle vere e proprie riforme di struttura.
Sui temi della pace e della politica internazionale rilanciò il pensiero nonviolento di Aldo Capitini (conosciuto tramite il suo insegnante Averardo Montesperelli) recuperando quella religiosità laica che gli ha consentito di essere contemporaneamente interlocutore dei cattolici e dei laici proprio in una città come Perugia insieme clericale e anticlericale.
L’insieme di queste tematiche su cui ha realizzato diverse studi, ricerche e pubblicazioni e i diversi incarichi istituzionali come Senatore dal 1968 al 1979 consigliere comunale a Perugia, Terni, Montecastrilli e Vicesindaco di Perugia gli hanno consentito di entrare in contatto con tante personalità culturali e politiche di diverso orientamento sempre disposto a capire le ragioni degli altri.
Il suo rapporto duraturo e nel tempo con i più rappresentativi dirigenti della Dc come Giuseppe Ermini, Giorgio Spitella, Luciano Radi e Franco Maria Malfatti in anni di forte contrapposizione testimonia questa apertura che esprimeva anche un’attenzione per la vita di due importanti istituzioni formative come l’Università degli Studi e l’Università per Stranieri. La sua particolare attenzione per gli studi storici gli consentì di costruire relazioni e rapporti con alcuni prestigiosi studiosi (docenti per un certo periodo all’Ateneo perugino) come Paolo Alatri, Corrado Vivanti, Alberto Caracciolo e Fiorella Bartoccini.
Pur rifiutando le posizioni più estremistiche Rossi dialogò spesso con il movimento studentesco a partire da quello sviluppatesi a Perugia e Terni alla fine degli anni Sessanta.
Un rapporto di particolare amicizia e collaborazione Rossi instaurò con Ottavio Prosciutti apprezzato insegnante di latino e greco al Liceo Classico poi diventò pro Rettore dal 1947 e Rettore dal 1980 al 1982 (anno in cui morì) dell’Università per Stranieri, uno dei vari dei vari dell’Ateneo di Palazzo Gallenga.
Negli ultimi anni della sua vita prevalse l’impegno culturale soprattutto sul terreno degli studi storici dirigendo l’istituto per la storia dell’Umbria contemporanea e la rivista di studi storico-sociali “Umbria Contemporanea”.
L’Istituto storico che era nato nel 1974 grazie all’impegno in Consiglio Regionale di Francesco Innamorati lo ha visto molto attivo per un ventennio potendo contare sulla competenza e l’impegno della sua direttrice Marina Ricciarelli. Ricerca storica ed azione politica (un dibattito che aprì nel 1976 su “Cronache Umbre”) era un nesso che Rossi spesso riproponeva nel corso dei suoi interventi pubblici o privati senza più indulgere in una interpretazione giustificazioni sta o utilitarista delle vicende del passato ad uso e consumo del presente.
Era certo figlio del suo tempo e la “scelta di vita” ha influito sulla sua formazione politico-ideologica ma dagli studi che ha compiuto e pubblicato emerge una spunto libero ben più di quanto il suo partito politico gli avesse potuto consentire.

NOTA
La mia è solo una testimonianza personale, per aver conosciuto Raffaele Rossi dalla metà degli anni Settanta, e non certo un profilo storico-biografico per il quale sarebbe stato necessario più tempo e più spazio. Ho comunque consultato alcune tra le sue principali pubblicazioni: Il Pci in una regione rossa. Intervista, Grafica, Perugia 1975; Discorso sulla città. Passato e presente nella regione ritrovata, Protagon, Perugia, 1984; Un simbolo di libertà, storia del monumento al XX Giugno, Editoriale Umbra, Foligno, 1988; Da capitale agraria a città moderna, in Perugia, Laterza, Bari 1993, Una città più grande e più bella, in Cinquanta anni di urbanistica, storia e società della Perugia contemporanea, Protagon, Perugia, 1993; Una piccola regione nella prospettiva federalista, Uomini Economie Culture, Esi, Napoli, 1997; Retrospettive e prospettive di storia umbra, in Una regione e la sua storia, Deputazione di Storia Patria, Perugia, 1996; Volevamo scalar in cielo. Il Novecento dai luoghi della memoria, Edizioni Era Nuova Perugia, 1999; Una città tra continuità e cambiamento, in Perugia al passaggio del secolo, Editoriale Umbra, Perugia, 2000, La città la democrazia, dialogo riformista con Gaetano Salvemini, Edimond, 2010. Ha curato le collane “La più grande Perugia”, Protagon, 1992 e la “Storia illustrata delle città dell’Umbria”, E. Sellino, Milano 1993.