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Sabato 07 Giugno 2008

"IL «SANGUE DEI VINTI» IN UMBRIA NON E' STATO SPARSO"
"Le vittime nella guerra civile in Umbria" sdffdg

di Alberto Stramaccioni

Il successo editoriale conseguito dai libri scritti dal giornalista Giampaolo Pansa, sul “sangue dei vinti” e cioè sui delitti compiuti dai “vincitori” sui “vinti” nella seconda guerra mondiale, soprattutto dopo il 25 aprile (nel “triangolo rosso” Modena-Reggio Emilia–Bologna) ha rilanciato nei mesi scorsi il dibattito storico e politico sulle caratteristiche della guerra civile anche in Umbria. Un quotidiano regionale “Il Giornale dell’Umbria” a firma di Francesco Castellini in una decina di puntate, pubblicate tra il dicembre 2006 e il febbraio 2007 ha ricostruito la genesi di alcuni eccidi avvenuti in particolare sull’appennino umbro-laziale utilizzando soprattutto i materiali raccolti da due ricercatori Enrico Carloni e Pietro Cappellari.


La guerra civile, anche in Umbria, ha assunto almeno due facce dopo l’8 settembre 1943. Da una parte i soldati della Repubblica Sociale di Benito Mussolini che da soli e insieme ai nazisti combatterono i partigiani impegnati nella guerra di liberazione nazionale e gli stessi civili (con oltre 600 morti tra partigiani e civili) e dall’altra l’azione delle formazioni partigiane che durante la resistenza fucilarono o giustiziarono aderenti alla Repubblica Sociale e singoli cittadini (non oltre 50) considerati collaborazionisti dei tedeschi e dei fascisti. Naturalmente nel territorio della nostra regione il fenomeno non ha avuto in alcun modo le proporzioni realizzatesi nel triangolo rosso. Innanzitutto perché in Umbria finita la guerra di liberazione il conflitto tra nazifascisti e angloamericani continuava verso il nord e più di cinquecento partigiani umbri organizzati nel gruppo di combattimento Cremona (integrato nell’VIII armata britannica) divennero cobelligeranti al fianco degli angloamericani. Lo scontro militare tra i partigiani e i militari della Guardia Nazionale Repubblicana aiutata dai nazisti avviene durante le fasi della lotta di liberazione e le azioni, le esecuzioni sommarie dei repubblichini sono poche e avvengono solo in quelle zone dove l’azione dei partigiani era più efficiente e presente. E quindi determinati episodi avvennero nell’area del ternano nella primavera e nell’estate del 1944 con la fucilazione ad opera dei partigiani di alcuni soldati aderenti alla Repubblica Sociale e in particolare a Leonessa. La presenza inoltre nelle organizzazioni partigiane di slavi fuggiti dai campi di concentramento, particolarmente aggressivi ed esperti nella guerriglia e nella rappresaglia, contribuì a compiere alcune azioni punitive che videro comunque attivi anche i partigiani ternani delle brigate Gramsci, Manni, del battaglione Lavagnini come a Mucciafora, Miranda di Terni, Polino, Poggiobustone, Ferentillo, Stroncone, Sellano.
A Foligno invece come viene ricordato da Roberto Beretta nel volume “Storia dei preti uccisi dai partigiani” nella notte del 21 febbraio 1944 vengono uccisi due prelati, Don Ferdinando Merli e Don Angelo Merlini. Il primo insegnante al Liceo Classico di Foligno e il secondo parroco di Fiamenga. Entrambi erano considerati responsabili, secondo i partigiani, di sostenere con particolare vigore il regime fascista e repubblichino e vennero quindi giustiziati da alcuni componenti della Brigata Garibaldi guidati dal partigiano slavo Marion Tomsic, assente per ferita in quel momento il comandante della Brigata, il cattolico Antero Cantarelli. La Brigata Garibaldi caso abbastanza raro nelle organizzazioni partigiane umbre era composta in gran parte da cattolici provenienti dal circolo San Carlo di Foligno e lo stesso Cantarelli era presidente della Giac. Ma alla brigata partigiana del folignate si erano poi aggiunti alcuni slavi usciti dalla prigione di Spoleto tra cui lo stesso Tomsic poi fucilato dai fascisti a Perugia. 
Accanto ai preti che solidarizzarono con il fascismo tantissimi altri nei mesi della guerra civile avevano contribuito a salvare molti ebrei e tanti cittadini comuni come testimonia il recente volume “Testimoni e protagonisti di un tempo difficile”. A Perugia poi non ci furono atti di persecuzione nei confronti dei gerarchi fascisti della Repubblica sociale anche perché personaggi come Armando Rocchi e Oscar Uccelli appena prima della liberazione della città fuggirono al nord al seguito dei nazisti che risalivano l’Italia di fronte all’avanzata degli angloamericani. Nella città capoluogo non si ebbe alcuna ritorsione o rappresaglia anche perché era particolarmente vigile la presenza degli angloamericani. 
Nemmeno nei piccoli paesi e nelle campagne, dopo la liberazione delle principali città dell’Umbria, si verificarono particolari azioni di violenza dei vincitori sui vinti. A qualche proprietario agrario, noto per il sostegno al regime fascista, vennero espropriati beni materiali, soprattutto derrate alimentari. Alcune donne note per essere state legate ad esponenti fascisti vennero umiliate attraverso il taglio a zero dei capelli e fatte sfilare nelle piazze di alcuni paesi. 
In Umbria comunque non è stato sparso il “sangue dei vinti”. Solo durante il conflitto tra le brigate partigiane e i nazisti e i fascisti, tra il 1943 3 il 1944 si sono avute ritorsioni e rappresaglie tipiche di una “guerra civile” e di una “guerra ai civili” tra italiani antifascisti e italiani fascisti che procurò centinaia di morti, ma che non ebbe le caratteristiche ritorsive e le proporzioni di altre realtà nazionali. D'altronde le norme della cosiddetta “amnistia Togliatti” del giugno 1946 (varata con l’obiettivo della pacificazione nazionale) non vennero applicate se non eccezionalmente ad alcuni processi riguardanti le vicende umbre negli anni successivi.
Gli esiti contenuti della guerra civile in Umbria erano anche la conseguenza della particolare organizzazione del sistema di potere in Umbria, sviluppatosi nel corso del ventennio, e la sua evoluzione nei momenti delicati della sua transizione tra il 1943 e il 1944.