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Giovedì 12 Aprile 2007

"Studiare la Storia d'Italia per ricreare l'idea di Nazione. Recensione di Raffaele Rossi, direttore della rivista Umbria contemporanea, al volume di Alberto Stramaccioni “Storia d'Italia 1861-2006”, Editori Riuniti, 2006"    sdfsdf

di Raffaele Rossi

Con il suo ultimo libro Alberto Stramaccioni (“Storia d'Italia 1861-2006”, Editori Riuniti, 2006), compie in 400 pagine, dense di fatti e d'interpretazioni, un'attenta e dettagliata ricostruzione della storia dell'Italia unita. C'è il suo passato, esaminato in tutti gli aspetti lungo le vicende di un secolo e mezzo, ma c'è anche il suo presente perché la particolarità o, se si vuole, la eccezionalità del lavoro sta nel fatto che l'autore non ha preso le distanze, come in genere capita, dall'attualità. Egli non esita ad affrontare anche le questioni che, con il secondo governo Prodi, sono nell'agenda politica dell'oggi.


II sottotitolo dice: "Istituzioni, economia e società, un modello politico nell'Europa contemporanea", indicando così l'intento di volere esaminare il caso Italia nell'Europa delle nazioni; una comparazione che aiuta a ribadire la specificità di una esperienza non confrontabile
con quella di altri Paesi. Viene fatto di pensare, come elemento di sostanziale differenza, al ritardo con il quale si o costituita l'unità della nazione italiana, alla difficoltà nel superare i particolarismi di un'antica storia di città.
E' questo un elemento da tenere presente nella lettura del libro quando si affrontano le varie fasi:il Risorgimento e la formazione dello Stato unitario nella sua complessità e nelle sue contraddizioni, la crisi del giolittismo e dello Stato liberale, le origini del movimento nazionalista, il ruolo delle riviste e dei "grandi intellettuali". Si può ricordare che alcuni dì essi si posero come protagonisti di una violenta agitazione antiparlamentare e antidemocratica fino ad auspicare la "guerra all'esterno e all'interno". Sappiamo che ci fu l'una e l'altra, e ciò serve a capire che l'affermarsi del fascismo rappresenta, pure nella sua specificità, un fenomeno già radicatosi nei decenni precedenti.
Su tale argomento mi pare giusto il titolo di un paragrafo, "Consenso e dissenso nel regime", che
riprende una questione tante volte dibattuta e la vantazione dell'azione che il regime riuscì a
realizzare per creare e mantenere il consenso. Si può osservare che esso ebbe una sua storicità,
conobbe cioè fasi diverse, fu ampio e però anche fragile quando l'avventura della guerra a fianco della Germania lo portò ad un rapido logoramento.
La Resistenza, la Repubblica e la Costituzione appaiono in tutta la portata di svolta storica, e non
solo per la rottura di regime, ma perché erano il risultato dell'intesa tra culture e forze politiche anche molto diverse che avrebbero concorso a definire la nuova identità democratica della nazione. Non è certo privo di significato il fatto che, nonostante il sopraggiungere della "guerra fredda" e dei duri contrasti ideologici, la cosiddetta Prima Repubblica potesse affrontare un cammino, anche se molto travagliato, in forza di quei valori condivisi, consentendo la rinascita nazionale e un generale progresso.
Sempre di notevole interesse gli anni del difficile passaggio dal centrismo al centro-sinistra, con la
sua iniziale spinta riformatrice, presto riassorbita nel moderatismo italico, con il messaggio
religioso ed umano di papa Giovanni XXIII, con il "miracolo italiano" che non sfiorava l'Umbria:
nel suo disegno generale, Stramaccioni non ne fa cenno, anche se l’iniziativa umbra con il regionalismo e la programmazione ebbe significato nazionale. 
Nel libro si affronta la fase della cosiddetta lunga transizione dalla Prima Repubblica, problema del
tutto aperto alla ricerca e al dibattito. Una linea di svolgimento spezzata nell'oscuro passaggio
dell'assassinio di Aldo Moro, quando in buona sostanza, a mio parere, termina il "secolo breve ".
Esso non è tale perché lo si fa iniziare con la prima guerra mondiale (per ciò che concerne l'Italia
non si può astrarre dal primo quindicennio del novecento), ma perché finisce alle soglie degli anni
ottanta con l'esaurirsi del ruolo svolto dai partiti che avevano riportato l'Italia sulla via della democrazia. Oggi il venir meno di una storia comune ha creato un diverso panorama politico, in cui
al confronto e al dialogo si è sostituito lo scontro pregiudiziale.
Una riflessione conclusiva si può trarre da questa ampia rassegna: l'Italia ha bisogno di ricreare,
come è avvenuto nel Risorgimento e nel secondo dopoguerra, “l’attore collettivo”, cioè l'insieme di
energie che, nella loro diversità ed autonomia, concorrono a ridefinire una idea di nazione nell'
Europa e nel mondo globalizzato.