Stampa
Venerdì 04 Novembre 2005

"Mazzini, tra liberalismo e socialismo"
"1805-2005, nel bicentenario della nascita di Mazzini un convegno a Umbertide"     sdgsdg

di Alberto Stramaccioni


Il 7 ottobre al Teatro Comunale di Umbertide nel bicentenario della nascita di Giuseppe Mazzini si è tenuto un convegno sull’attualità del pensiero politico di uno dei principali protagonisti del Risorgimento italiano. Il convegno è stato aperto dalle relazioni di due storici, docenti universitari, Gianbiagio Furiozzi e Alberto Stramaccioni. Riportiamo di seguito una sintesi della relazione introduttiva di Alberto Stramaccioni.




Tra i “quattro padri della nazione italiana”, o meglio tra i protagonisti del passaggio della penisola italiana da “nazione letteraria a nazione politica” nella stagione del Risorgimento, il contributo politico e culturale di Giuseppe Mazzini è senz’altro il meno riconosciuto e apprezzato. 
Camillo Cavour, Vittorio Emanuele II e soprattutto Giuseppe Garibaldi hanno avuto ampi riconoscimenti, libri, commemorazioni, monumenti, tante piazze e strade a loro intitolate. Al contrario Giuseppe Mazzini, anche se non del tutto trascurato è stato visto spesso come un “cattivo maestro” pericoloso personaggio politico, assimilato ad autentico capo di movimenti terroristici.
Morto con il passaporto inglese a casa Rosselli a Pisa, sotto il falso nome di George Brown visse in esilio per quasi vent’anni tra Svizzera, Francia e Inghilterra. Nel 1866, dopo l’unità d’Italia gli venne negata perfino l’appartenenza alla Camera dei Deputati perché condannato a morte nel 1858. Ma una volta scomparso nel 1872, ai suoi funerali partecipò, per quei tempi, una folla straordinaria di oltre centomila persone.
1. Educato da un precettore giansenista, Luca Agostino de Scalzi, rimase sempre fedele agli ideali di un repubblicanesimo democratico, connotato da un forte intrasigentismo morale. Fu uno dei fondatori dell’idea di democrazia, il pensiero mazziniano si caratterizzò per una decisa valenza etica della politica per una forte solidarietà sociale. Fortemente antimonarchico, fu il teorico di una specie di “terza via” tra il liberalismo e il socialismo. Né marxista, né cattolico era però convinto sostenitore di una “religiosità laica” in quanto per Mazzini l’uomo è un’entità divina e per questo deve essere libero. Se la Chiesa cattolica italiana e Pio IX non fossero stati profondamente contrari all’unità e all’indipendenza nazionale, forse lo stesso Mazzini non sarebbe stato particolarmente anticlericale. Aveva fede in Dio e nell’immortalità dell’anima, ma egli sosteneva che se l’uomo in quanto essere divino non può essere libero è la Chiesa cattolica che porta una grande responsabilità. Giuseppe Mazzini fonda inoltre la sua dottrina della responsabilità e del dovere sull’idea di Dio e concepisce il progresso come “opera di uomini e donne guidati da una fede religiosa”. Convinto della necessità della “libera associazione per gli esseri umani” si oppose però al socialismo e al comunismo visto come una “società di castori” e nel 1849, a proposito dell’ideologia comunista, fece una profezia di una sconcertante lungimiranza in quando rivolgendosi ai sostenitori del comunismo dichiarò: “avrete una gerarchia arbitraria di capi con l’intera disponibilità della proprietà comune, padroni della mente per mezzo di un ‘educazione esclusivista, del corpo per mezzo del potere di decidere circa il lavoro, la capacità , i bisogni di ciascuno. E questi capi imposti o eletti, poco importa, sedotti dall’immenso potere concentrato nelle loro mani cercheranno di perpetuarlo, si sforzeranno di riassumere per mezzo della corruzione la dittatura ereditaria delle loro caste”. Per tutta risposta Marx lo definì un “vecchio asino reazionario”. Ma al tempo stesso, Mazzini criticava il liberalismo per il suo esasperato individualismo e perché si identificava per lo più con il sistema monarchico in generale e con quello sabaudo in particolare. Sottolineava in questo contesto la forma della libera associazione democratica dei cittadini, portatori certo di diritti, ma anche soggetti ai doveri. Rivendicava per quei tempi uno spazio politico tra liberali di destra ed egualitari di sinistra.

2. Europeista convinto, fondatore della “Giovane Italia” e della “Giovane Europa” era contrario a qualunque forma di nazionalismo, condividendo il principio di fratellanza tra i popoli ed era ostile ad ogni tipo di imperialismo. Sosteneva l’idea che si dovesse arrivare ad un’Europa dei popoli contro un’Europa dei Governi. Non a caso fecero riferimento al suo pensiero politico, i fondatori prima della Società delle Nazioni e poi dell’Onu. Si pronunciò contro l’abolizione della schiavitù e, al di là di quello che spesso si è scritto, confermò la su contrarietà ad ogni forma di terrorismo, considerato “l’arma dei deboli” e i suoi moti insurrezionali non si rivolgevano certo contro le popolazioni civili. Con qualche similitudine con le iniziative del movimento anarchico, le sue iniziative sovversive intendevano rivolgersi contro i monarchi, i principi, i rappresentanti della polizia e dell’esercito invasore. Si espresse contro l’iniziativa dei fratelli Bandiera, di Felice Orsini e la spedizione di Carlo Pisacane. Ma considerava la monarchia sabauda non certo sinceramente impegnata a dare agli italiani una nazione unita, libera e indipendente, soprattutto dopo il 1852, quando Cavour divenne Primo Ministro del Regno del Piemonte. Con la breve, ma significativa partecipazione alla esperienza della Repubblica romana del 1848-49 e in quanto componente del triumvirato con Aurelio Saffi e Carlo Armellini contribuì in modo decisivo alla scrittura della Costituzione della Repubblica romana che prefigurava la nascita di una “terza Roma”, quella del popolo, dopo quella dei Cesari e dei Papi.
La Costituzione della Repubblica Romana fu inoltre un punto di riferimento fondamentale per i costituenti impegnati, dopo la seconda guerra mondiale, a scrivere l’attuale Carta Costituzionale e in particolare gli articoli relativi alla separazione tra Stato e Chiesa, al carattere pacifista della nazione e ai valori fondanti in tema di libertà e diritti civili, contro il razzismo e la pena di morte. Dopo il fallimento di questa esperienza si rifugiò in alcuni paesi europei e condivise l’impegno di Garibaldi a partire dalla “spedizione dei mille” e a tutte le altre iniziative militari e politiche dopo il 1861 per la liberazione di Roma dal potere papale. Entrò in contatto con politici ed intellettuali inglesi e frequentò soprattutto John Stuart Mill e Thomas Carlyle.
3. Dopo l’unità nazionale, considerato da Cavour e da Vittorio Emanuele II un pericoloso sovversivo antimonarchico, non poteva di certo rientrare in Italia e vide con una certa amarezza il passaggio di mazziniani e garibaldini nello schieramento politico monarchico. Criticò il processo di unificazione dell’Italia che secondo lui, aveva sacrificato la riforma sociale a quella politica e morì in anni in cui le su idee stentarono ad affermarsi oltre i più fedeli sostenitori. Ma il suo pensiero politico, a partire dai primi del novecento (anche con l’edizione monumentale, oltre cento volumi delle sue opere) si radicò in una in una parte significativa dell’intellettualità italiana e in personaggi rappresentativi come Gaetano Salvemini e partiti come quello Repubblicano e poi il Partito d’Azione. Fu in oltre all’origine della prima grande stagione del movimento operaio e sindacale, dell’associazionismo cooperativo e mutualistico e delle leghe artigiane. Il fascismo e soprattutto Giovanni Gentile esaltò il “suo nazionalismo” definendo Mussolini “uomo mazziniano per eccellenza” . Il pensiero politico di Mazzini esercitò un’influenza notevole, sia pure in ambiti politici ed intellettuali ristretti, nel secondo dopoguerra e i suoi scritti furono testi di riferimento per le battaglie politiche, tra gli altri, di Loyd George, Wodrow Wilson, Ghandi, Ben Gurion, Golda Meir, del cinese Sun Yat Sen e di Masarik e Benes, fondatori dello Stato della Cecoslovacchia. 
La personalità di Giuseppe Mazzini è forse riassunta efficacemente con le parole che lui stesso scrisse nel 1831 in una lettera inviata a Carlo Alberto in cui gli disse: “non v’è carriera più santa al mondo di quella del cospiratore che si costituisce giudice dell’umanità, interprete delle leggi eterne della natura”.