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Giovedì 08 Novembre 2007

"I PRIGIONIERI ANGLOAMERICANI IN ITALIA"
"Intervento al Convegno di Umbria Libri organizzato dalla Uguccione Ranieri di Sorbello Foundation"    dgdfgdf

di Alberto Stramaccioni

Vorrei iniziare con una considerazione, almeno per me significativa. Oggi presentiamo tre libri sulle vicende dei prigionieri angloamericani in Italia, ma a discuterne sono stati chiamati due storici, certamente autorevoli e che conoscono l’Italia come Roger Absalom e John Davis, ma non italiani. E già questo è di per sé un dato culturale, ma anche storico-politico di un qualche rilievo. D'altronde studi e ricerche come quelli riportati nei libri alla nostra attenzione, in Italia ce ne sono davvero pochi. Analogamente ci sono pochi studi, anche se alcuni pregevoli, sulla presenza e il peso politico e militare che hanno avuto gli angloamericani nella liberazione dell’Italia e dopo nel periodo della prima ricostruzione. Così come ci sono pubblicazioni limitate sul ruolo che ha avuto l’esercito italiano, il ricostituito esercito italiano, nella lotta di liberazione nazionale.


Va comunque rilevato che negli ultimi quindici o venti anni le ricerche su questi temi sono aumentate, così come sono cresciute quelle sui caratteri che ha avuto la guerra civile in Italia tra il 1943 e il 1945. Diciamo che dopo la caduta del muro di Berlino e la crisi della ideologia e dell’esperienza comunista, ne hanno risentito gli stessi studi storici e si è ridotto anche in Italia un certo uso politico della storia. Oggi infatti gran parte della storiografia cerca di andare oltre i più esasperati ed opposti revisionismi, espressione di fazioni storico-politiche radicalmente divergenti, per approdare a studi e interpretazioni più obiettive e meno unilaterali possibili. Per esempio si sono fatti dei passi in avanti su questioni storiche molto controverse. Si è andati infatti oltre una certa produzione storiografica che vedeva la lotta antifascista di liberazione nazionale come il mito fondante della nascente Repubblica italiana e tutto ciò per decenni ha messo in evidenza quasi esclusivamente il ruolo svolto dalla resistenza armata al nazifascismo e in essa il peso sicuramente determinante che i partigiani comunisti avevano avuto. Con questa interpretazione i detentori del monopolio antifascista hanno impedito alla resistenza e all’antifascismo stesso di diventare un patrimonio ideale e identitario comune degli italiani. Perché se è giusto ricordare che la Repubblica ha origine dall’antifascismo e dalla resistenza non si può dimenticare che idealmente e storicamente il richiamo ai valori di libertà e di democrazia, patrimonio anche del nostro Risorgimento, furono all’origine dell’antifascismo dei liberali, dei repubblicani, dei socialisti liberali, dei cattolici democratici i quali combatterono il fascismo non per sostituirlo con un altro regime totalitario, sul modello bolscevico e stalinista, ma per instaurare un nuovo sistema democratico moderno e pluralista. 
Da qualche anno però si può riflettere più obiettivamente e serenamente sul fatto che i partigiani hanno contribuito in maniera significativa alla liberazione dell’Italia, con migliaia di morti e feriti, ma tutti questi consistenti sacrifici sarebbero stati poca cosa se non si fosse dispiegato l’intervento determinante dell’esercito angloamericano in Europa e in particolare sul territorio italiano per la liberazione dall’occupazione nazifascista. Dobbiamo d'altronde ricordare che in Italia hanno perso la vita circa centomila soldati angloamericani, se non vado errato, ed altrettanti soldati tedeschi. Ricordo tutto ciò per dare la dimensione di un conflitto militare, in cui sono morti anche decine di migliaia di civili e alcune centinaia di migliaia di soldati italiani. 
Diciamo allora che la letteratura storica italiana che fa riferimento alle vicende narrate nei tre volumi che presentiamo oggi è limitata e quindi questi studi contribuiscono sicuramente a ridurre i limiti della nostra storiografia nazionale.
E non solo di quella italiana giacchè è stato detto che la stessa storiografia anglosassone ha studiato poco le vicende dei prigionieri angloamericani in Europa. Molto consistente è sicuramente la memorialistica sull’argomento, anche se non ci sono dei sistematici e diffusi studi storici, come quelli del professor Absalom.
Vengo allora al contenuto dei libri che presentiamo stasera e ringrazio per questa occasione di dibattito la Fondazione e Ruggero Ranieri in particolare, perché da sempre si sono impegnati su questi studi e su altre iniziative convegnistiche del genere. I libri sono “Prigionieri alleati. Detenzione, cattura e fuga nelle Marche 1941-1944” di Giuseppe Millozzi edito dalla Uguccione di Sorbello Foundation nel 2007; “I Diari di Babka 1943-1944. Aristocrazia antifascista e missioni segrete” di Alessandro Perini; “Combattendo con il nemico. I prigionieri di guerra neozelandesi e la Resistenza italiana” di Susan Jacob, edito da Mazzanti nel 2006.
Il tema ricorrente nei tre volumi è quello definito da Absalom della “strange alliance”, cioè della strana alleanza, una traduzione letterale che forse in italiano assume un significato un po’ diverso da quello inglese. Ora su questa interpretazione e sui termini usati vorrei evitare incomprensioni e porre alcune domande. È una “strana alleanza” tra i prigionieri angloamericani o britannici con i cittadini e i contadini italiani?! E’ una “strana alleanza” in riferimento al conflitto esistente prima del 1943 tra il regime fascista e il governo britannico?! Absalom naturalmente sostiene una interpretazione meno politica e più legata ai rapporti umani, sociali, culturali, emotivi che si creano dopo il 1943 tra italiani e inglesi.
Ma è forse utile riferirsi al contenuto dei libri per capire che questa alleanza, sia pure tardiva, tra italiani ed inglesi, non era poi così strana o impossibile. Per esempio nei “Diari di Babka” non è strana l’alleanza tra la contessa Andreola Vinci Gigliucci detta Babka e gli agenti dei servizi segreti britannici. Il suo orientamento politico era dichiaratamente liberaldemocratico e queste convinzioni, sia pure circoscritte a ristretti ceti intellettuali, facevano storicamente riferimento al mondo politico anglosassone. 
Più in generale non è certo una strana alleanza quella realizzata dagli italiani dopo il 1943 o già alla fine del 1942 quando accoglievano i prigionieri angloamericani e volevano che la guerra finisse al più presto, perché la consideravano in gran parte già persa. Sicuramente si è realizzato un rapporto diverso da realtà a realtà tra i prigionieri angloamericani e le popolazioni in un’Italia molto varia e diversa. E questo rapporto ha infatti assunto caratteri particolari se l’incontro tra italiani e inglesi avveniva, dopo la fuga dai campi di concentramento, in città o in campagna, con l’operaio della fabbrica, il possidente, l’intellettuale o con il contadino della campagna o della casa sperduta tra i monti e le colline. Una pluralità di comportamenti da parte italiana che non rifiutava comunque il sostegno e il ricovero ai prigionieri e che è stata descritta credo abbastanza bene in tutti i libri. 
C’è poi da sottolineare come in tutti e tre i volumi, anche se in modo diverso, si metta in evidenza il grande coraggio dei soldati angloamericani, soprattutto quelli appartenenti ai servizi segreti, che andavano in un territorio sconosciuto, e svolgevano con grande determinazione le proprie missioni e molti ci lasciarono la vita. Le azioni di intelligence o di sabotaggio erano estremamente difficili, alcune disperate e realizzate da agenti dei servizi segreti inglesi dell’A-Force, più o meno improvvisati, che cercavano di andare oltre le linee di combattimento. Molti agenti erano addestrati in modo abbastanza superficiale e quindi al momento delle operazioni correvano grandi rischi. Dotati di rice-trasmittenti che spesso non funzionavano, venivano paracadutati nel territorio nemico e frequentemente operavano in nuclei composti solo da un ufficiale e uno o due soldati che sapevano usare la radio. 
Analizzando in particolare i tre volumi, io ritengo che quello scritto da Millozzi “Prigionieri Alleati” con la prefazione di Ruggero Ranieri può aiutare molti a comprendere il fenomeno dei prigionieri anglosassoni in Italia, circa ottantamila, che è realmente sconosciuto alla grande maggioranza della popolazione, ma anche a molti insegnanti e studenti. Il libro ricostruisce le vicende dei prigionieri nei campi di Servigliano, Sforzacosta e Monte Urano nelle Marche, tra i più importanti, attingendo notizie dagli archivi di Roma e Londra e con le interviste ai protagonisti sopravvissuti. Il tema dei prigionieri angloamericani è stato ignorato o marginalizzato anche da studiosi autorevoli come Renzo De Felice o Claudio Pavone. 
Il libro di Susan Jacob “Combattendo con il nemico” contiene poi tante informazioni ed è costruito sulla base di un approfondito lavoro di archivio durato nel tempo. La Jacob racconta le vicende dei quattrocentocinquanta soldati neozelandesi nei campi di prigionia italiani del Veneto orientale e del Friuli Venezia Giulia e dal libro emerge il loro generoso patriottismo verso l’impero britannico e la casa reale. Molti soldati neozelandesi detti “kiwi” erano pastori, mai stati in Gran Bretagna o a Londra, ma animati da un grande senso dell’appartenenza ad una alleanza politico-militare e generosamente impegnati nei combattimenti. In più il libro descrive un elemento particolare e significativo e cioè come la propaganda fascista considerava i neozelandesi, uomini di serie B, selvaggi che mangiavano i bambini e stupravano le donne. 
Venendo al volume dal titolo “I Diari di Babka” proprio perché un diario è un libro diverso dagli altri, ricostruisce la vita giorno per giorno di una comunità sulla costa marchigiana di Cupra Marittima, a Boccabianca nel 1943-1944, durante l’avanzata dell’esercito alleato e la ritirata di quello tedesco. Emerge la passione e il coraggio “dell’aristocrazia antifascista” che non erano così diffusi tra i ceti più facoltosi, a cui apparteneva la protagonista del diario, la contessa Andreola Vinci e il marito Zeno Gigliucci. Un ceto composto per lo più da aderenti e combattenti fascisti e repubblichini o dai cosiddetti attendisti della “zona grigia”. La villa dei coniugi divenne invece una specie di base logistica per recuperare i prigionieri alleati, i pow.
Per concludere torno al ragionamento iniziale sulla “strana alleanza”. Perché questa interpretazione, a mio avviso, chiama in causa un tema più generale, molto discusso in Italia e cioè quello sul consenso e il dissenso nel regime mussoliniano. Si è scritto che in Italia il regime fascista ha avuto un consenso notevole, soprattutto negli anni Trenta. Tutto ciò è innegabile, ma in molti periodi e situazioni assumeva i caratteri di una accettazione passiva del sistema totalitario, in una ancora giovane società di massa. Emergeva una specie di società italiana a “doppio fondo” che esprimeva in varie forme, più o meno obbligate, un’adesione al regime, ma al tempo stesso non manifestava un esteso e convinto consenso attivo. Quando d'altronde il regime tende ad entrare decisamente in crisi, soprattutto dopo le gravi sconfitte militari, tornano fuori le perplessità o l’opposizione al sistema totalitario di una parte consistente della società italiana. D'altronde se è vero che coloro che hanno contribuito alla lotta armata di resistenza, erano una parte limitata della società italiana, è altrettanto vero che furono sostenuti dalla grande maggioranza degli italiani, che volevano la fine del regime, della guerra e della occupazione nazista. 
Quindi, per concludere, la particolare alleanza tra italiani e angloamericani ha certo una sua espressione sul piano sociale e culturale, come sostiene Absalom, ma anche su quello politico e militare. Un’alleanza testimoniata d'altronde dall’azione del ricostituito esercito italiano, dai partigiani combattenti al fianco dell’esercito angloamericano, anche se non mancarono attriti e conflitti durante e dopo la guerra di liberazione nazionale. 
Certamente questa collaborazione e questa alleanza pur obbligata ha assunto il significato di un tardivo riscatto nazionale. Fu d'altronde lo stesso De Gasperi a valorizzare la capacità di reazione del popolo italiano, anche e soprattutto dopo la crisi del regime. L’Italia, superata l’intesa con la Germania nazista, doveva essere ammessa nell’alleanza tra le nazioni democratiche e atlantiche di fronte all’affermarsi dei nuovi equilibri geopolitici mondiali, causa ed effetto della crescente guerra fredda che divideva il mondo in due blocchi contrapposti. 
Per concludere davvero questi tre libri contribuiscono a ricostruire non solo le vicende dei prigionieri angloamericani in Italia, fino ad ora poco conosciute, ma anche a definire i caratteri di un’alleanza tra italiani e angloamericani che, sia pure tardiva e imposta sul piano militare e politico, è stata comunque condivisa dalla gran parte della popolazione italiana, come d'altronde si è poi visto negli anni e nei decenni successivi.