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Venerdì 17 Febbraio 2006

"La guerra occultata"
"Le critiche della Minoranza alla relazione della Maggioranza, a conclusione dell’attività della Commissione parlamentare d’inchiesta sui crimini nazifascisti compiuti tra il 1943 e il 1945"    sdfsdgf

di Alberto Stramaccioni

Pubblichiamo di seguito alcuni stralci dell’intervento dell’on. Alberto Stramaccioni pronunciato a nome dell’Unione di Centrosinistra nella seduta della Commissione del 31 gennaio 2006




1.La relazione di maggioranza ci propone una lettura storico-politica della vicenda italiana, dal dopoguerra in poi, che non risponde alle domande di verità e giustizia che sono richieste non solo dal Parlamento, ma anche da movimenti e associazioni dei familiari delle vittime e in generale dalla coscienza civile del paese. La Relazione di maggioranza si regge su un assunto fondamentale dal quale discende tutto il resto. E l’assunto è il seguente. I crimini nazifascisti vanno valutati come reati politici, sui quali peraltro sono intervenute le amnistie del 1946, del 1959, del 1966 e quindi secondo la Relazione di maggioranza, pur avendo colpito civili inermi, giovani, donne, vecchi e bambini non sono comunque crimini contro l’umanità e perciò stesso imprescrittibili. Sono quindi derubricati a comuni reati politici. La loro imprescrittibilità è stato peraltro stabilita non solo dal Tribunale di Norimberga e dalla Corte di Giustizia Internazionale dell’Aja, ma anche da una precisa e recente sentenza della Corte di Cassazione del 2003, relativa alla vicenda del criminale nazista Priebke. 
Siamo quindi di fronte ad un giudizio, quello relativo alla valutazione dei crimini nazifascisti, come reati politici che è per noi inaccettabile, perché nega in radice la vera e propria “guerra ai civili” che è stata organizzata dai comandi tedeschi dopo l’8 settembre, attraverso specifici e particolari ordini impartiti ai suoi ufficiali dal generale Kesserling e messi in atto insieme ai fascisti italiani della Repubblica di Salò e che ha prodotto purtroppo, le stragi con l’efferatezza che sappiamo con migliaia e migliaia di morti. Se si nega l’esistenza stessa della “guerra ai civili”, naturalmente la vicenda dell’occultamento dei fascicoli con le conseguenti responsabilità della Magistratura Militare e del potere politico e di governo diventano in quest’ottica responsabilità minori, di non grande rilievo giuridico e politico. Questo dato politico del negare l’esistenza di una vera e propria guerra ai civili che peraltro è stato un fatto europeo, non solo italiano (tanti studi e ricerche storiche si sono svolte sull’argomento in diversi paesi europei), esprime un negazionismo storico, una forma cioè di revisionismo che tradisce uno spericolato uso politico della storia(…). 
2. Se infatti si valutano come reati politici anche i più efferati crimini nazifascisti, si da una chiave di lettura della storia italiana tra il 1943 e il 1945 esclusivamente e sottolineo esclusivamente come una guerra civile tra italiani fascisti e italiani antifascisti. Un conflitto tra due italie che certamente c’è stato, come per primo ha peraltro messo in evidenza uno storico di sinistra, che oggi si direbbe comunista, come Claudio Pavone. Ma la guerra civile che pur c’è stata, rappresenta un aspetto e sottolineo solo un aspetto o una componente quella più generale Guerra di Liberazione Nazionale combattuta nella Resistenza antinazista e antifascista dai partigiani, ma anche dai militari del ricostituito Esercito Italiano, da semplici cittadini, assieme ai soldati angloamericani che hanno certamente dato un contributo particolare e decisivo per la liberazione del paese. Un movimento di liberazione nazionale che al di là di ogni mitizzazione o ideologizzazione è stato il fondamento politico e culturale della Costituzione e della Repubblica Italiana come giustamente ci ricorda spesso e con ragione il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. E’ quindi chiaro che se i crimini nazifascisti vengono valutati giuridicamente e storicamente come reati politici tutto ciò sottintende che, anche le stragi più efferate sono state in qualche modo la legittima reazione dei nazisti e dei fascisti ad una offesa o come si potrebbe dire oggi, una legittima guerra preventiva, così come d'altronde l’aveva concepita Kesserling per tutelare l’esercito tedesco, che contrastato e sconfitto risaliva la penisola dal Sud al Nord e reagiva all’offensiva angloamericana incontrando anche l’ostilità dei partigiani e delle popolazioni civili.
Questo negare il carattere di crimini contro l’umanità non può che attenuare naturalmente il giudizio, invece per noi negativo, sulle responsabilità della Magistratura Militare per non aver celebrato i processi attraverso la messa in atto di una vera e propria pianificazione dell’occultamento. Siamo d'altronde di fronte ad una Magistratura Militare in cui i suoi più alti gradi avevano ricoperto incarichi di rilievo nell’Esercito nel corso del ventennio fascista e poi anche nella Repubblica Sociale Italiana e successivamente si erano particolarmente legati al nuovo potere politico centrista del dopoguerra. Ed era proprio questa magistratura ad essere chiamata a giudicare tanti ufficiali nazisti responsabili delle stragi in Italia, ma anche diversi ufficiali dell’Esercito Italiano imputati per crimini analoghi, compiuti in territorio Jugoslavo o in Grecia tra il 1942 e il 1945. Questa specie di conflitto di interessi della Magistratura Militare tra giudici militari e militari imputati di gravi crimini, al di là di ogni solidarietà corporativa, voluta dalla tradizione e avallata in qualche modo dall’ordinamento giudiziario è aggravata dal fatto che anche dopo la fine della guerra erano sempre gli stessi militari a dover giudicare i loro colleghi inquisiti magari aderenti anche alla Repubblica di Salò. Questo è un dato politico e giudiziario incontrovertibile confermato anche dal lavoro svolto dalla nostra Commissione, ma a tutto ciò non gli si vuole attribuire la forte rilevanza che invece merita. Forse perché spiega le vere ragioni dell’occultamento dei fascicoli (…).
3. Particolarmente rilevante è poi, ai fini della comprensione delle ulteriori ragioni dell’occultamento dei fascicoli per la non celebrazione dei processi, la questione del ruolo dei Servizi Segreti in Italia come in Germania e negli altri paesi dell’Alleanza Atlantica. Una vicenda nuova che il lavoro di indagine della Commissione ha avviato e che non era facile e non è facile approfondire per tante, anche in parte comprensibili ragioni. Ma credo che in un sistema politico democratico debba essere sempre più trasparente il lavoro dei servizi di intelligence, fatte salve naturalmente le prerogative di segretezza e riservatezza che la loro attività esige e comporta(…). Non considererei quindi irrilevante in questo quadro il fatto che la nostra Commissione abbia acquisito presso l’Archivio del N.a.r.a. negli Stati Uniti un fascicolo sul maggiore Karl Hass qualificato come importante collaboratore del CIC, un servizio di informazione militare Usa, e del Ministero dell’Interno italiano e del Sifar proprio negli anni in cui la Magistratura Militare italiana avrebbe dovuto processarlo, per le sue responsabilità nelle stragi. Ma accanto all’arruolamento degli ex nazisti nei Servizi Segreti Usa, dal lavoro della Commissione si conferma la collaborazione di ex appartenenti alla XMas di Junio Valerio Borghese tramite James Angleton un agente Usa alla O.S.S. prima e poi alla Cia e successivamente in una organizzazione della Nato quale è risultata la Stay Behind, della cui rete faceva parte l’organizzazione italiana denominata Gladio. In questo quadro c’è da rilevare che, come risulta dai fascicoli molti militari della XMas vengono indicati come responsabili dei crimini di guerra e non è escluso che proprio per la loro collaborazione nei Servizi Segreti Usa non siano stati poi processati.
L’insieme dei dati acquisiti sul ruolo e la presenza dei Servizi Segreti Usa in Italia negli anni dell’immediato dopoguerra ci sollecitano inoltre ad approfondire le modalità di ricostituzione dei nostri servizi segreti che nascono ufficialmente con il Sifar il primo settembre del 1949 e non prima. Anche questo è un dato politicamente significativo, perché la ricostituzione avviene dopo la rottura con le sinistre e il Sifar rinasce sulle ceneri del vecchio Sim, il Servizio di Informazione Militare, nato durante il regime fascista e da cui eredita uomini e strutture. Il Sifar nasce nel 1949, ma senza alcun dibattito parlamentare e semplicemente con una circolare interna del Ministro della Difesa di allora, Randolfo Pacciardi, noto per il suo particolare filoatlantismo. Qui non si vuole certo ripercorrere la storia dei Servizi Segreti italiani almeno fino alla riforma del 1977, ma non è certo una grande novità poter affermare, anche perché ci sono state tante inchieste della magistratura sull’argomento, che i diversi tentativi di colpo di stato avvenuti in Italia nel 1964, nel 1970, 1973-74 hanno visto coinvolti a vario titolo i Servizi Segreti o parti o personaggi di essi, in azioni operative o nei tanti depistaggi delle inchieste sulle stragi a partire da Piazza Fontana in poi e comunque in azioni destabilizzanti orientate alla linea ben nota del destabilizzare per stabilizzare. Non sarebbe quindi ininfluente conoscere modalità soggetti e forme di reclutamento degli operatori dei servizi segreti nell’immediato dopoguerra e negli anni successivi per valutare chi di questi abbia fatto parte della Repubblica Sociale Italiana o sia considerato responsabile di stragi o crimini compiuti da soli o insieme ai soldati nazisti. Ma su questo punto il senatore Andreotti, anche da me interpellato, nel corso dell’audizione presso la nostra Commissione è stato particolarmente sfuggente e reticente (…)
4. In relazione alle responsabilità politiche dell’occultamento dei fascicoli, non invocherei di certo la “ragione di stato” pur nel contesto della situazione internazionale negli anni della guerra fredda e del riarmo tedesco in funzione antisovietica. Un contesto che avrebbe consigliato, secondo un “comune sentire”, come si sostiene nella Relazione di maggioranza, l’occultamento e cioè il non perseguimento dei crimini compiuti dal cosiddetto soldato tedesco. Non vorrei che anche qui si facesse strada una tesi storico-politica secondo cui l’Italia era un paese a “totale sovranità limitata” rispetto al contesto internazionale e in particolare a quello euroatlantico. Non sarò certo io a negare la forte influenza degli Stati Uniti d’America sulle decisioni politiche attuate in Italia dal 1943 al 1948 e negli anni successivi. L’Italia da paese nemico a paese alleato, ma con l’inaffidabile rango cobelligerante, non era certo considerato un paese vincitore della seconda guerra mondiale. Purtuttavia non vorrei che non riconoscessimo, alle rinate istituzioni democratiche italiane, anche se fragili, alcuna autonomia, anche prima della firma del Trattato di Pace di Parigi del 1947. Avevamo le responsabilità politiche tipiche dei governanti di uno stato sovrano, con un suo Parlamento liberamente e democraticamente eletto nel 1946 e quindi eravamo nella condizione politica e storica di poter far fronte a tutte le decisioni di politica interna e internazionale. E’ stata quindi giustamente accertata una precisa responsabilità politica dei governi italiani, soprattutto dalla la fine del 1947, nel non dar corso alle richieste di estradizione da parte di altri paesi, Jugoslavia e Grecia, di militari italiani, quali presunti criminali di guerra. D'altronde nello stesso periodo il governo italiano si trovava nella imbarazzante situazione di dover procedere contestualmente alla richiesta per l’estradizione di militari e criminali di guerra tedeschi (...).
Spero ed auspico tuttavia che non tutte le componenti della Casa delle Libertà se la sentano di condividere questa impostazione e in particolare le conclusioni a cui è giunta la Relazione. E’ pur vero che siamo al termine di una legislatura particolarmente conflittuale tra i due schieramenti, che non ha paragoni nella storia del Parlamento repubblicano e siamo nel corso praticamente di una campagna elettorale. Ed in questi mesi forse, non c’è stata la necessaria attenzione dell’opinione pubblica e dei mezzi di informazione sul nostro lavoro, ma non per questo possiamo sentirci meno responsabili rispetto al compito che ci è stato affidato dallo stesso Parlamento italiano. Su questioni così importanti, legate alla storia e all’identità del paese e al bisogno di memoria, verità e giustizia per tante vittime innocenti sarebbe auspicabile che si potesse trovare una conclusione dei nostri lavori il più possibile condivisa.