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Venerdì 18 Marzo 2005

"Partigiani e repubblichini pari sono?"
"Un disegno di legge tenta di rovesciare il senso della Resistenza"    sdgsdg

di Alberto Stramaccioni

Nei giorni scorsi il sen. Oreste Tofani a nome di Alleanza Nazionale ha presentato un disegno di legge n. 2244 composta da due soli articoli e poche righe, ma di notevole significato politico. Infatti la legge che la maggioranza di centro-destra al potere vuole far approvare dalle Camere decreta che ai soldati e ufficiali che militarono nell'esercito della Repubblica Sociale Italiana di Salò, deve essere riconosciuto lo status di militari combattenti equiparati a "quanti combatterono nei diversi paesi in conflitto durante la seconda guerra mondiale”. Un disegno di legge che rovescia il senso della Resistenza come guerra di liberazione nazionale e quindi della contrapposizione storica tra i giovani che scelsero di lottare contro i tedeschi occupanti e i fascisti della Repubblica Sociale Italiana e quelli che all'opposto decisero di arruolarsi nelle file delle truppe di Salò che combatterono per venti mesi contro i partigiani e gli alleati angloamericani.


C’è quindi innanzitutto da chiarire un dato storico-politico di non secondaria importanza e cioè quello secondo cui partigiani e repubblichini non hanno di certo avuto la stessa legittimità politico-istituzionale nella loro azione, oltrechè un diverso ruolo e funzione nazionale. Infatti dopo la caduta del governo fascista di Mussolini il 25 luglio 1943 è proprio il Capo dello Stato, secondo lo Statuto Albertino, cioè il Re Vittorio Emanuele III a dare l’incarico al maresciallo Pietro Badoglio di formare un nuovo governo. Sul piano formale, come su quello sostanziale, nasce così il governo legittimo dell'Italia che é spinto dall'armistizio dell’8 settembre e dalla presenza delle truppe tedesche a lasciare la capitale e a stabilirla a Brindisi nel territorio liberato dagli alleati angloamericani. Alla luce degli avvenimenti, e indipendentemente dal giudizio negativo che si può dare della fuga del Sovrano e di Badoglio da Roma, che favorisce oggettivamente l'occupazione della capitale da parte delle truppe naziste, esiste e non può esistere che un solo governo legittimo italiano. 
Quello nato a Salò, per opera dei nazisti che liberarono Mussolini e del decaduto dittatore italiano é un governo illegittimo che, in maniera illegittima, forma un esercito che combatte, sotto il comando nazista, contro i partigiani italiani e le truppe angloamericane. 
Non si può sostenere quindi come fa il disegno di legge presentato dagli eredi del fascismo, sulla base di quella sentenza del Tribunale Supremo Militare del 1954 e di una circolare del Ministero della Guerra del maggio 1945 che va nella stessa direzione, che tutto deve essere rovesciato e che poiché il governo della Repubblica Sociale, governo di fatto, dura quasi due anni e arma truppe che hanno proprie insegne e proprie armi e, nello stesso tempo, il governo di Badoglio opera in un territorio occupato dagli alleati, va riconosciuta ai combattenti di Salò la qualifica di militari belligeranti al pari di tutti i combattenti della seconda guerra mondiale. Non si ricorda in quel disegno di legge che le truppe di Salò più che combattere contro gli alleati vennero usate essenzialmente per rappresaglie contro i partigiani e stragi contro i civili durante i venti mesi di guerra, né che il governo di Salò agiva in regime di occupazione al pari di quello legittimo, e che, a differenza del governo Badoglio era alle strette dipendenze della Wermacht e delle SS che uccisero oltre 15.000 civili. 
Si mette sullo stesso piano, in altri termini, la scelta di chi ha lottato e versato il proprio sangue per costruire in Italia una democrazia parlamentare e quella di chi non solo non ha rinnegato gli obbiettivi politici e ideologici della dittatura fascista, ma ha ritenuto di poter condividere la visione hitleriana e razzista dell'Ordine nuovo nazista. 
Il disegno di legge ha suscitato comunque la reazione negativa dell’intero centrosinistra, delle associazioni partigiane e di un ex Presidente della Repubblica come Oscar Luigi Scalfaro che ha subito dichiarato: «E’ inaccettabile l’equiparazione tra i combattenti di Salò con chi ha lottato per la Liberazione dell’Italia dai nazifascisti? Si tratta di un revisionismo intollerante, celato da un falso tentativo di riappacificazione nazionale». Significativa anche la reazione di oltre quaranta eminenti storici tra i quali Nicola Tranfaglia, Rosario Villari, Sandro Carocci, Giovanni De Luna, Giuliano Procacci e Giuseppe Ricuperati, i quali hanno sottoscritto un appello nel quale si rifiuta di mettere sullo stesso piano «la scelta di chi ha lottato e versato il sangue per costruire in Italia la democrazia e la giustizia e quella di chi non ha rinnegato gli obiettivi politici e ideologici della dittatura fascista, e ha ritenuto di poter condividere la visione hitleriana simboleggiato da Auschwitz. E’ il primo passo per ottenere che ai fascisti di Salò vengano concesse medaglie e decorazioni per la battaglia con i nazisti contro l'indipendenza dell'Italia, contro la democrazia e la libertà». Gli storici invitano l'opposizione e l'opinione pubblica democratica «a reagire con tutti i mezzi per impedire che questo rovesciamento di valori diventi legge dello Stato».
Particolarmente illuminante poi il giudizio di uno storico moderato come Luciano Canfora che mettendo in relazione l’imminente arrivo del 25 aprile e le celebrazioni del 60° della Liberazione nazionale con il disegno di legge di An ha sostenuto che «il presupposto di tali iniziative è che dopo sessant’anni tutto si è “raffreddato” e quindi c’è il rischio che nella notte, tutte le vacche appaiano grigie. Per chi ritiene che lo scrivere storia sia innanzitutto lotta per la memoria, questo esito sarebbe un grave danno. Tener viva la memoria, la verità, significa ricordare, a chi lo dimentica e a chi non l’ha mai saputo, che la Rsi fu uno Stato fondato sulla tortura, sulla persecuzione razziale e politica, sulla distruzione fisica degli avversari, sulla delazione. Né sessanta né cento anni bastano a cancellare questo».
Giudizi quindi particolarmente netti e precisi che chiamano in causa l’opinione e la responsabilità di quanti nel centrodestra si dichiarano antifascisti, liberali e democratici e convinti sostenitori dei principi e dei valori della Costituzione Repubblicana, nata dalla Resistenza antifascista. Il contenuto del disegno di legge di Alleanza Nazionale chiama soprattutto in causa lo stesso Gianfranco Fini e l’intero gruppo dirigente di Alleanza Nazionale che proprio a Fiuggi dieci anni fa hanno ritenuto di dover rompere i legami con un passato fascista particolarmente negativo per l’Italia. Che senso ha oggi rivalutare con questo disegno di legge la tragica e sanguinosa guerra in gran parte fomentata dagli aderenti alla Repubblica di Salò contro altri italiani antifascisti? Viene spontaneo domandarsi, ma a Fiuggi nel 1994 ci fu una vera svolta? E che dire infine del fatto che al Senato nei giorni scorsi la maggioranza di governo ha cancellato dal programma dei lavori anche la decisione di mettere a disposizione appena quattro milioni di euro per celebrare degnamente il prossimo 25 aprile i sessant’anni della Liberazione d’Italia dal nazifascismo? Celebrazione alla quale il Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, sia detto per inciso, ha sempre evitato accuratamente di partecipare in qualsiasi forma.
Questo governo e questa maggioranza parlamentare non hanno perso quindi occasione per delegittimare in ogni modo la nostra Carta Costituzionale e la Resistenza antifascista e antinazista da cui sono scaturiti i principali valori e principi sui quali è nata la Repubblica italiana.