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Martedì 20 Luglio 2004

"No al giustificazionismo sui crimini nazifascisti"
"Una risposta alla polemica sulla «guerra ai civili»"    secs

di Alberto Stramaccioni

L’attenzione che Alessandro Campi ha voluto manifestare, nei giorni scorsi su questo giornale, al lavoro che sta svolgendo la Commissione parlamentare d’inchiesta sulle cause dell’occultamento dei fascicoli relativi ai crimini nazifascisti, mi consente di tornare su alcune questioni che vanno assumendo un particolare significato politico e storico.


1. Campi contesta, innanzitutto, il concetto di “guerra ai civili” per definire i crimini perpetrati tra il settembre 1943 e l’aprile 1945 dai soldati nazisti in ritirata, sostenuti dai fascisti locali, contro giovani, donne, vecchi e bambini fino a condurre alla morte oltre quindici mila persone. Per sostenere questo suo rilievo critico, afferma che le stragi dei civili non si possono collocare “al di fuori del contesto più generale della seconda guerra mondiale” e volerle interpretare come “una modalità di guerra a sé è solo il frutto di una certa storiografia di sinistra che avrebbe mal digerito la definizione tout court di guerra civile”. Valutazioni, queste di Campi, certamente legittime, ma incomplete e anche un po’ tendenziose. Dovrebbe essere abbastanza noto, oramai, che il concetto di “guerra ai civili” è il frutto di una diffusa produzione storiografica, al di là delle punte revisionistiche o antirevisionistiche più estreme, secondo cui in molti paesi europei, ma anche in Italia, accanto ad una resistenza armata, c’è stata anche una resistenza civile al nazifascismo. E, in particolare in Italia, tra il ‘43 e il ’45, ci sono stati tanti e diversi comportamenti degli italiani, compresa certamente una guerra civile tra italiani fascisti e italiani antifascisti. Ma anche e soprattutto c’è stato chi, partigiano, militare o civile si è sacrificato combattendo da una parte una lotta partigiana di tipo patriottico e liberatrice, assieme ad una con obiettivi rivoluzionari e di classe, mentre esisteva una zona grigia fatta di un diffuso attendismo. Ma è proprio in questo complesso contesto che si è sviluppata una vera e propria “guerra ai civili” espressamente ordinata dai comandi militari tedeschi e caratterizzata da una particolare crudeltà, con la pianificazione dello sterminio e l’obiettivo del genocidio. Tutto questo in particolare in Italia è avvenuto con l’ordine del maresciallo Kesserling che intendeva colpire i cosiddetti “fiancheggiatori” delle operazioni partigiane, non lasciando più spazio alla distinzione tra la figura del combattente e quella del civile al fine di disporre di retrovie libere per fronteggiare la crescente offensiva delle truppe alleate. Così si è instaurata una strategia di tipo terroristico per stroncare qualsiasi forma di collaborazione tra la popolazione civile e i partigiani ed è bene ricordarlo, sempre per la verità storica, che l’azione condotta dai tedeschi riguardante sia i massacri, e le singole uccisioni, era quasi dappertutto sostenuta ed orientata dai fascisti locali, più o meno organizzati nella Repubblica sociale italiana.
La “guerra ai civili”, è certo collocabile nel contesto della seconda guerra mondiale, ma ha una sua specificità, in quanto si sono commessi veri e propri crimini contro l’umanità, perché particolarmente efferati, contro cittadini non combattenti e non può essere certo sottovalutata, o peggio, liquidata come frutto della inevitabile reazione dei soldati tedeschi, oramai sconfitti e afflitti da una “condizione di oggettivo abbrutimento, mentale e fisico, causato da quattro o cinque anni di guerra ininterrotta, che deve aver favorito, in molti militari, truppa e ufficiali, la perdita di ogni freno morale e comportamenti al limite del belluino”.
Si parli e si approfondisca dunque, il confronto e lo studio sull’insieme degli eventi che hanno caratterizzato la storia tra il’43 e il ’45 e più in generale, il nesso fascismo-resistenza-antifascismo, si approfondiscano le pagine meno indagate da una certa storiografia di sinistra, come quelle relative alle stragi delle foibe o agli assassini compiuti nel cosiddetto triangolo rosso e di tutto ciò che può contribuire a determinare quella memoria condivisa della storia nazionale che in molti auspichiamo. Ma questo obiettivo non si può certo conseguire marginalizzando il sacrificio di tanti italiani, comprese le vittime civili.
2. In secondo luogo, Campi sostiene che dietro l’attività della Commissione bicamerale sui crimini nazifascisti “più che un bisogno di conoscenza c’è la volontà di costruire un’idea giudiziaria della politica e della storia per imporre una verità politico-giudiziaria” e tutto ciò porterebbe ad individuare come soli responsabili dell’impunità dei crimini nazifascisti “i governanti italiani, soprattutto Dc, negli anni della guerra fredda, nel nome di una diabolica ragione di stato”.
L’attività della Commissione bicamerale (peraltro prorogata per un anno, nei giorni scorsi dalla Camera dei Deputati, all’unanimità, fatto abbastanza insolito) non persegue certo una verità politico giudiziaria stabilita a priori, ma cerca di individuare i responsabili dell’occultamento dei fascicoli relativi agli oltre duemila crimini nazifascisti ed attraverso molte audizioni, è giunta ad accertare pesanti responsabilità da parte della Magistratura militare, prima e dopo il 1994, allorché venne scoperto il famoso “armadio della vergogna”. Tutto questo dopo decenni di impunità non ha proprio nessun significato politico e storico? Accertare la verità, credo che sia una specie di diritto - dovere di una comunità e di uno Stato che ha visto morire migliaia di vittime innocenti, oltrechè un bisogno di memoria e di giustizia. Le responsabilità della Magistratura Militare non possono naturalmente considerarsi del tutto disgiunte da quelle politiche dei governanti di allora che invocarono una loro “ragione di Stato” per non consentire l’inizio dei processi contro i soldati tedeschi responsabili dei crimini. Ma oggi, dopo la fine della guerra fredda e quando è stato abbattuto il muro di Berlino, ha senso ancora invocare la ragione di stato o non è forse più utile procedere con maggiore serenità alla ricerca della verità e della giustizia? Nessuno contesta che il quadro di politica internazionale che si determinò dopo la seconda guerra mondiale ebbe il suo peso nell’occultamento dei crimini nazifascisti. Per la ricostruzione dell’Alleanza Atlantica si ritenne che fosse politicamente inopportuno iniziare processi per crimini di guerra i quali avrebbero messo in crisi l’immagine della Germania e, soprattutto, la ricostruzione di una forza armata in quel paese. E in più c’è da aggiungere che nello stesso periodo, immediatamente successivo alla fine della seconda guerra mondiale, oltre due mila e cinquecento militari italiani vennero indagati e condannati per crimini di guerra compiuti in Grecia, Jugoslavia, Albania ed Africa. Forse sarebbe stato difficile giudicare i crimini nazisti quando l’Italia non voleva che si giudicassero i crimini fascisti compiuti fuori del Paese. Ma oggi la situazione è completamente diversa, non si tratta di compiere vendette e non c’è nessuna volontà di persecuzione verso anziani che hanno portato per decenni dentro di sé i loro orribili segreti. Vogliamo però conoscere i nomi dei responsabili, e chiarire il loro ruolo nei massacri, vogliamo che siano scritte da un tribunale le loro responsabilità in questi feroci eccidi e stragi, che non furono atti di guerra né in gran parte rappresaglie, ma l’attuazione di un diabolico piano di sterminio della popolazione civile per evitare che fossero di supporto ai partigiani e agli alleati.
E non credo infine che sia giusto irridere in qualche modo al concetto di crimini contro l’umanità, anche perché non sono un’ invenzione giustizialista, ma delitti perseguibili dalle leggi internazionali, seppur non in modo retroattivo, in particolare dalla Corte penale internazionale dell’Aja, giacché proprio a questa Corte uno specifico trattato le assegna il compito di perseguire “crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidi”.
Più in generale quindi, far luce sui crimini nazifascisti non può certamente rispondere ad alcun intento giustizialista, ma nemmeno indulgere ad un certo giustificazionismo.