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Domenica 04 Luglio 2004

"L'Umbro che sfiorò Palazzo Chigi"
"Prefetto, deputato, più volte ministro e nel 1920 candidato a capo del goveno"    secsc

di Alberto Stramaccioni

Augusto Ciuffelli è stato senz’altro il più importante personaggio politico umbro nel periodo dell’Italia monarchico-liberale, ma non certo il più noto nella nostra regione. Nato nel 1856 a Massa Martana e morto a Roma nel 1921, la sua vita ha attraversato la storia italiana dall’unità all’avvento del fascismo. Prefetto, Deputato per quattro legislature, più volte Ministro, candidato a diventare Presidente del Consiglio dei Ministri nel 1920, fu uno stretto collaboratore di personaggi come Giuseppe Zanardelli, seguace di Antonio Salandra, sostenitore di Vittorio Emanuele Orlando. Liberaldemocratico, ma antigiolittiano, fu per limitare l’intervento dello Stato nell’economia, sostenitore dell’impresa agricola si espresse contro l’assistenzialismo all’industria. Diffidente verso l’ideologia socialista, fu però uno strenuo sostenitore di politiche adatte a migliorare la condizione dei cittadini più poveri e contribuì a creare le prime forme di Stato sociale in Italia. Contrario all’allargamento indiscriminato del suffragio elettorale maschile, dimostrò tuttavia un grande rispetto per le istituzioni, un alto senso dello Stato e un forte rigore morale.


Nacque molto povero e morì proprietario solo di una casa. Ciuffelli è stato un esponente di quella classe dirigente liberale di seconda generazione, (dopo quella protagonista della stagione del risorgimento italiano), che veniva dalla carriera statale e non era espressione diretta dei ceti agrari e industriali. Con notevoli capacità tecnico-giuridiche e una lunga esperienza di governo ha contribuito notevolmente allo sviluppo dell’intero paese e della Provincia dell’Umbria.
Augusto Ciuffelli nacque a Massa Martana il 23 novembre 1856 dal padre Giuseppe, e dalla madre Maria Lucianetti. Negli anni cinquanta dell’800 il piccolo paese umbro era nel territorio dello stato Pontificio e come gran parte delle altre aree dell’Italia centrale si caratterizzava per una condizione economico sociale di grande arretratezza. Nella famiglia Ciuffelli, di modestissime condizioni, si vivevano le difficoltà più generali del paese e il giovane Augusto fu ben presto costretto ad interrompere gli studi, dopo la licenza tecnica conseguita a quattordici anni e costretto a trovarsi un lavoro. Con una certa fortuna e qualche sostegno si impiega prima nel Genio Civile di Potenza e poi in quello di Brescia. Prosegue comunque da autodidatta gli studi occupandosi di storia, di letteratura, e redigendo perfino alcuni testi teatrali. Tra il 1872 e il 1880 scrive su La Sentinella Bresciana e su La Provincia di Brescia sostenendo le idee progressiste contro la politica dei moderati e dei clericali. Questa sua attività pubblicistica viene notata da un importante uomo politico bresciano come Giuseppe Zanardelli ed è grazie al rapporto di collaborazione e di amicizia che si instaura con questo statista che la sua vita compie una svolta. Zanardelli era un mazziniano, deputato della sinistra dal 1860, più volte Ministro dei Lavori Pubblici e della Giustizia e poi dal 1901 fino alla morte nel 1903 capo del governo. Il nome di Zanardelli rimane legato alla definizione del nuovo codice penale (1889) di stampo liberale che abolisce la pena di morte e riconosce parzialmente il diritto di sciopero e che rimase in vigore fino al 1930. Contrario al trasformismo e alla soluzione autoritaria di fine secolo Zanardelli è stato sicuramente uno dei principali rappresentanti della sinistra democratica al potere. 
Il rapporto con Zanardelli segnerà gran parte della storia politica e personale di Augusto Ciuffelli. Egli diventa infatti segretario particolare dello statista bresciano nel primo governo Depretis del 1876-77, quello trasformista. Poi è sempre collaboratore di Zanardelli quando questi è Ministro dell’Interno nel primo governo Cairoli del 1878 e successivamente allorchè ricopre l’incarico di Ministro della Giustizia nei governi Cairoli, Depretis e Crispi tra il 1879 e il 1891. 
Questo particolare rapporto di collaborazione con l’importante uomo di governo lo porta a ricoprire importanti ruoli in diversi uffici dello Stato. Nel 1891 diventa prima Consigliere di Stato, poi sottoprefetto di Velletri, di Reggio Emilia, Commissario Regio a Livorno, Pisa, Palermo e poi Prefetto di Siena e Cagliari. Come è noto in quegli anni la funzione di Prefetto non aveva un ruolo di pura rappresentanza del governo centrale nella provincia, quanto invece notevoli poteri politici amministrativi e gestionali. I prefetti, anche per la particolarità delle leggi elettorali allora in vigore, e data la ristrettezza degli aventi diritto al voto (mezzo milione di cittadini maschi nel 1882 su circa 30 milioni di abitanti), avevano un potere politico-elettorale straordinario in quanto controllavano gli elenchi dei votanti e non a caso i capi del governo (che dovevano trovarsi la maggioranza in Parlamento) tenevano in grande considerazione i prefetti, fino a considerarli decisivi per l’elezione stessa dei deputati. Anche per questo leader come Giovanni Giolitti vennero accusati di usare spregiudicatamente il potere dei prefetti che spesso, soprattutto al sud, si collegavano ai poteri criminali e com’è noto Gaetano Salvemini in un celebre scritto definì i ministeri di Giolitti i governi della malavita. Purtuttavia la carriera di Funzionario dello Stato e di Prefetto, era una specie di corso di formazione professionale per la classe dirigente politica italiana di allora. 
Dopo questa lunga esperienza prefettizia Augusto Ciuffelli guida la Presidenza del Consiglio dei Ministri durante il periodo in cui Zanardelli è capo del governo dal 1901 al 1903, allorchè scomparve a 77 anni. Alla morte del suo referente politico, Ciuffelli passa all’attività politica diretta, candidandosi alla Camera dei Deputati nelle elezioni del 1904 e si presenta nel collegio di Todi dove verrà poi rieletto nelle successive consultazioni del 1909, del 1913 e del 1919.
Ciuffelli insieme a altri deputati umbri come Guido Pompili, Cesare Fani, Leopoldo Franchetti, rappresenta il nucleo più importante dei parlamentari attivi tra la fine dell’ottocento e i primi del novecento. Ma a differenza di Pompili, Fani e Franchetti che erano proprietari terrieri facoltosi, o comunque legati a questo mondo, Ciuffelli in quanto espressione di una parte significativa della classe dirigente nazionale, ebbe un ruolo politico e parlamentare diverso, più rilevante, legato alla difesa degli interessi generali dell’intero paese. 
Presentatosi nel Collegio di Todi (uno dei dieci collegi della Provincia dell’Umbria, nata nel 1861 per iniziativa del Prefetto Gioacchino Pepoli comprendente i circondari di Perugia, Terni e Rieti), Augusto Ciuffelli venne eletto nel 1904 con 2.415 voti contro i 429 del socialista Pasquale Laureti; nel 1909 fu rieletto con 2.817 voti contro i 186 di un altro socialista Francesco Ciccotti; nel 1913 fu deputato con 9.615 voti contro i 777 di Giovanni Colasanti ed infine nel 1919, cambiata la legge elettorale si candidò nelle liste del Partito Liberale democratico e ottenne 7.162 voti. 
Appena diventato deputato promuove l’organizzazione del Partito Democratico Costituzionale, un raggruppamento parlamentare di circa cinquanta membri denominato anche Sinistra Democratica in cui confluirono gli ex zanardelliani dopo che il loro capo era morto l’anno prima. Nel 1906 inizia subito la sua esperienza, oltreché di parlamentare, di uomo di governo e diventa Sottosegretario alla Pubblica istruzione nel terzo ministero Giolitti. In seguito nel 1911, è nominato ministro delle Poste e Telegrafi nel governo giolittiano di Luzzatti. Proprio in questi anni molto delicati, caratterizzati dalla guerra di Libia e da forti lotte politiche e sociali Augusto Ciuffelli aderisce al gruppo di Salandra, antagonista di Giolitti nello schieramento liberale. Dalla adesione alla componente liberaldemocratica di Zanardelli e Giolitti, Ciuffelli passa a quella liberalnazionale di Salandra. E’ quindi ministro dei lavori pubblici nel governo presieduto da quest’ultimo tra il 1914 e il 1915, sostenendo l’entrata dell’Italia in Guerra. Prima perplesso o neutralista, come molti liberali, diviene poi interventista e molto critico verso la politica austro-ungarica in Italia ed in Europa. Manifesta queste sue convinzioni in un discorso del 1916 tenuto al Teatro Morlacchi a Perugia, quando sostiene che la cupidigia insaziabile dell’Austria minacciava la libertà e la vita dei popoli, perché l’Imperatore di Germania, atteggiavasi a dominatore della politica mondiale, ostentando, con forma mistica, quasi una missione divina, perché s’invadevano di sorpresa le terre degli uomini liberi e civili.
Alla fine della guerra è nominato Commissario Generale civile per Trieste e la Venezia Giulia e poi per conto del gruppo di Salandra nel 1919, con il governo di Vittorio Emanuele Orlando, assume l’incarico di Ministro dell’Industria del Commercio e del Lavoro. E’ a questo punto che, dopo la crisi del primo governo Nitti, si parla di Ciuffelli come di un possibile presidente del Consiglio a nome sempre del gruppo di Salandra. Si vorrebbe, anche secondo Turati, un governo di transizione guidato da Ciuffelli per le sue competenze e il suo equilibrio, di fronte alle ricorrenti crisi e conflitti tra liberali, socialisti e popolari nei mesi del dopo guerra e del biennio rosso.
La fisionomia politico-culturale di Augusto Ciuffelli si è definita nel corso degli anni di fronte alle diverse responsabilità di governo che è andato via via assolvendo. Purtuttavia il suo nucleo formativo fondamentale è quello politico-giuridico, di tipo zanardelliano, il quale rimarrà comunque a caratterizzare la sua azione per un ventennio. L’educazione ideologica zanardelliana interpretava l’ideale democratico in senso prevalentemente giuridico, restandogli estranea la percezione giolittiana della più complessa dinamica sociale. Sostenitore di una effettiva democrazia formale, non era ugualmente attento ad una vera democrazia sostanziale. Ed infatti Ciuffelli e i deputati zanardelliani si aggregarono alla maggioranza giolittiana, ma senza rinunciare alla propria identità per tutti gli anni dieci e venti. A testimonianza di ciò Ciuffelli si legò, in modo particolare, al gruppo guidato da Antonio Salandra, un liberale di destra sostenuto nella carica di Presidente del Consiglio nel 1914 proprio da una coalizione antigiolittiana. Sulla scia di una politica autonoma da Giolitti e dal giolittismo si pronunciò contro l’allargamento del suffragio elettorale, convinto che esso scatenasse le nuove reclute dell’ignoranza, le turbe incoscienti all’assalto allo Stato liberale; propose quindi che il diritto di voto politico fosse limitato a coloro che sapessero scrivere la propria scheda e che agli analfabeti fosse concesso solo il voto amministrativo, purché pagassero una minima imposta. Si batté contro il monopolio statale delle assicurazioni sulla vita, incoraggiando l’iniziativa privata e per questa sua convinzione si oppose alla gestione statale delle ferrovie e sostenne la liberalizzazione dei cambi e dei commerci.
Contemporaneamente semplificava, con una qualche approssimazione, la questione del rapporto tra liberaldemocratici e socialriformisti, chiedendo ai secondi di entrare senza reticenze e senza sottintesi nelle file costituzionali, liberandosi dell’etichetta socialista. Contrastando così quell’esperienza giolittiana secondo cui l’Italia è una carrozza a due cavalli uno socialista e uno cattolico, l’importante che il cocchiere resti liberale. Polemizzava con i socialisti criticando nel 1904 il metodo pericoloso e sterile della lotta di classe, coi suoi istinti contrari alla formazione dei grossi capitali, alla fortuna delle private iniziative, coi suoi postulati avversi ad ogni politica di espansione, allo sviluppo internazionale e coloniale delle nostre forze e dei nostri commerci, prova anche in ciò, di non tener conto abbastanza dei fatti reali, di quanto avviene dappertutto nel mondo. Poi subito si augurava di poter essere compagno ai socialisti in quanto campo delle provvide riforme, nell’agone delle utili iniziative, a vantaggio degli operai della officina e della terra. 
Era però cosciente di dover fare i conti con il malessere sociale diffuso nel 1909 e allora sosteneva che occorre garantire ai diseredati della fortuna l’educazione, l’educazione morale e civica trascurata dalla scuola negli ultimi tempi, l’istruzione generale e professionale, ogni forma di assistenza igienica economica e sociale, per le malattie, gli infortuni, la disoccupazione, l’invalidità, la vecchiaia, intensificando tutti i mezzi e le opere di tutela e di soccorso, compiendo le riforme che si sono iniziate.
Sul fronte della politica internazionale lo caratterizava una ispirazione prevalentemente nazionalistica e durante il primo conflitto mondiale, nel maggio-luglio 1917, andò in America (Washington, New York, Philadelphia, Chicago, Boston) con Nitti e il principe di Udine Ferdinando di Savoia, per chiedere il sostegno statunitense all’Italia in guerra. Non fu certo un pacifista, e nel 1916 sostenne che le grandi guerre moderne, esaltano le origini del sentimento e del pensiero dei popoli, segnano nuove vie, aprono nuovi orizzonti ai loro destini, come tutte le grandi crisi, esse rivelano verità impensate o fanno splendere quelle che rimanevano prima latenti o confuse nel profondo degli animi.
Sul piano della politica economica era un liberale sostenitore della iniziativa privata in tutti i campi pur non facendo venire meno il contributo allo Stato. Quando era Ministro dei Lavori Pubblici fu un tenace assertore della elettrificazione ferroviaria per affrancare l’Italia dal carbone straniero, potenziò i porti grandi e piccoli per lo sviluppo dei commerci marittimi, destinò investimenti per lo sfruttamento delle risorse idriche per la produzione di energia elettrica, della bonifica agraria, convinto che il benessere del nostro Paese poggia in massima parte sullo sviluppo e sul perfezionamento dell’agricoltura e il promuoverne l’incremento costituisce uno dei primi doveri del governo e dei cittadini». Forse era presente in lui una componente antimoderna e antindustriale tipica di una parte della classe dirigente liberale del primo novecento, al punto che sosteneva come nell’economia generale del Paese una cattiva annata del raccolto, non dico del vino, del grano o dell’olio, ma dell’umile baco da seta, abbia maggiore influenza della crisi di alcune grosse industrie meccaniche che con il loro strepito riescono facilmente a richiamare l’attenzione e talvolta la protezione del governo. Criticò le politiche assistenziali convinto che l’agricoltura non sempre può competere con altre industrie od impieghi di danaro pel frutto che rende il capitale investito, ma a promuovere il benessere dei lavoratori occorre non meno e più dell’azione del governo, la volontà e l’opera dei privati. In questo quadro sostenne il credito agrario fino a pubblicare nel 1896 un volume per richiamare la stessa attenzione del governo e proporre soluzioni che lo rendesse accessibile ai proprietari di terre. Nei suoi ultimi mesi di attività governativa fece approvare un provvedimento di grande rilievo nella storia dell’ordinamento previdenziale italiano, introducendo l’obbligo dell’assicurazione contro la invalidità e la vecchiaia per tutti i lavoratori dipendenti.
Queste sue concezioni politiche e pratiche di governo le applicò anche nel territorio di origine. L’importante uomo di governo e parlamentare rimase sempre legato alla sua terra e intrecciò l’impegno politico nazionale ed internazionale con quello legato allo sviluppo del tuderte. Si impegnò per la crescita dell’agricoltura in tutta la zona, per la realizzazione della centrale umbra nel quadro della ferrovia trasversale adriatico-tirrenica e a lui si devono la costruzione di numerose stazioni ferroviarie, strade, acquedotti, scuole. Fece aprire in Umbria numerosi edifici telegrafici e postali, sovvenzionò istituti di beneficenza, asili e biblioteche scolastiche.
In particolare per Todi contribuì al restauro del Palazzo Comunale, alla costruzione delle Scuole elementari nella campagna e serali, alla strada Todi-Ponte Naia, all’acquedotto, alla scalea del Tempio di San Fortunato (su disegno dell’architetto Cesare Bazzani), e infine all’allargamento della via Valle Superiore, oggi a lui intitolata dove sorge il palazzo Ciuffelli che acquistò con i suoi modesti risparmi.
Ma l’iniziativa più importante fu sicuramente la costituzione nel 1912 della Scuola Pratica di Agricoltura di Todi. Questo istituto che oggi porta il suo nome, divenne via via nel corso degli anni venti e trenta un importante punto di riferimento per gli studi e la formazione professionale in agricoltura e nel 1931 fu riconosciuto come Istituto Tecnico Agrario. 
Prima di morire a Roma nel 1921, colpito da una grave malattia, disse al sindaco di Massa Martana Giuseppe Federici Orsini che voleva essere sepolto nel cimitero del suo piccolo paese di origine: sepolto a Roma mi parrebbe di sparire eternamente, sepolto qui invece, in questo campo di silenzio, di sole, di verdura, il mio spirito proverà l’illusione di continuare a vivere ancora dopo morto e sapendo che le mie spoglie saranno qui interrate mi sembra di morire più tranquillo. 
Augusto Ciuffelli, ebbe una certa preveggenza, se oggi è proprio il Comune che insieme all’Istituto per la Storia dell’Umbria contemporanea ha voluto ricordare la sua memoria e il suo impegno per lo sviluppo del territorio e dell’intero paese.