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Lunedì 12 Gennaio 2004

"Memoria e Giustizia per i vivi e per i morti"
"Al lavoro la Commissione Parlamentare sui crimini nazi-fascisti; interessa Gubbio"   svsevs

di Alberto Stramaccioni

Dopo la pausa festiva entra nel vivo l''attività della Commissione parlamentare bicamerale sull''occultamento dei fascicoli relativi ai crimini nazifascisti perpetrati in Italia tra il settembre 1943 e l''aprile 1945. Crimini in gran parte rimasti impuniti e nei quali morirono circa quindicimila civili italiani tra cui donne, giovani, vecchi e bambini. 


Per questi eccidi perpetrati in particolare nell''Italia del Centro Nord ed anche nella nostra regione e in particolare a Gubbio con la rappresaglia dei quaranta martiri, furono raccolti alcune centinaia di fascicoli dalle Procure militari territoriali, ma vennero celebrati solo una decina di processi tra il 1946 e il 1947. Poi non se ne parlò più e la Procura Generale Militare dispose nel 1960 (pur non avendone competenza) la cosiddetta 'archiviazione provvisoria' dei procedimenti giudiziari riguardanti i crimini nazifascisti e solo nel 1994 indagando per un''altra inchiesta (l''accusa al capitano delle SS Priebke per la strage delle Fosse Ardeatine) il procuratore militare Antonio Intelisano rilevò la presenza nell''archivio del suo ufficio, in Palazzo Cesi a Roma un armadio contenente ben 695 fascicoli riguardante proprio quegli eccidi. Altri sicuramente ne erano avvenuti, ma non documentati dalle autorità italiane e forse neanche da quelle alleate, inglesi e americane. 

Comunque dopo la scoperta del cosiddetto 'armadio della vergogna' è cresciuta in qualche modo l''attenzione dell''opinione pubblica su una vicenda che per ragioni innanzitutto di giustizia non poteva considerarsi in alcun modo caduta in prescrizione. per questo nel 2001 il Parlamento decise di avviare un''indagine conoscitiva della Commissione Giustizia sull''intera vicenda e in particolare sulle ragioni dell''occultamento dei fascicoli riguardanti proprio i crimini nazifascisti. Verificata l''esigenza di ulteriori approfondimenti il nuovo parlamento con una apposita legge approvata nel giugno dell''anno scorso ha istituito una speciale Commissione parlamentare di inchiesta per indagare sulle ragioni e sulle responsabilità dell''occultamento dei fascicoli relativi ai crimini nazifascisti. 

Ma perché dopo tanti anni si vuole tornare su questioni così tragiche, molto spesso in grado di riaprire antiche ferite tra gli stessi italiani, prodottesi in quegli anni terribili, dove accanto ad una parte dell''Italia che combatteva nella resistenza all''occupazione nazifascista ce ne era un''altra, che collaborava con i nazisti occupanti ed ex alleati dopo l''8 settembre 1943, fino a compiere insieme, fascisti repubblicani di Salò e nazisti i crimini più efferati? 

Una risposta anche se difficile è comunque necessaria. E l''unica risposta possibile è che non si può perdere la memoria di quegli eventi tragici e anche a distanza di decenni si può e si deve chiedere giustizia non solo o non soltanto per la drammatica efferatezza dei crimini, ma per ridurre il pericolo sempre ricorrente del riemergere dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo. Coltivare la memoria e fare giustizia diventano dunque due obiettivi inscindibili e da perseguire con determinazione. 

Per questo la Commissione parlamentare si è messa subito al lavoro ascoltando nella prima audizione il Procuratore Militare Intelisano al fine di giungere entro un anno di tempo, salvo proroghe, alla ricostruzione dei fatti che portarono all''occultamento dei fascicoli e alle conseguenti responsabilità politiche. Siamo ancora all''inizio del nostro lavoro di indagine, ma dai documenti in nostro possesso emergono già alcune prime verità e si apre un capitolo nuovo nella storia dell''occupazione nazista in Italia: negli anni dei governi centristi e della guerra fredda non si sono voluti perseguire i soldati tedeschi responsabili dei crimini per una precisa ragione di Stato. Ciò si desume tra l''altro dal fatto che nell''immediato dopoguerra, in particolare nel 1947-48, si scelse di concentrare il ricordo dell''orrore attorno agli episodi più eclatanti, soprattutto le Fosse Ardeatine, dove nel marzo 1944 furono giustiziate 335 persone come rappresaglia per l''attentato di via Rasella, e l''eccidio di Marzabotto, che costò la vita a circa ottocento civili. Per un lungo periodo sugli altri sacrifici è calato il silenzio, complice anche la scelta politica di favorire il pieno inserimento della Repubblica federale tedesca all''interno dell''Alleanza Atlantica. Nel 1956 il ministro degli Esteri, Gaetano Martino, e quello della Difesa Paolo Emilio Taviani, si opposero all''estradizione di una trentina di ufficiali responsabili degli eccidi avvenuti nell''autunno 1943 nell''isola di Cefalonia. Il sacrificio di cinquemila soldati della divisione Acqui veniva ignorato e intanto la Procura militare avviava contro gli ex ufficiali superstiti un procedimento per «cospirazione e insubordinazione», avendo «disobbedito agli ordini di desistere ad ogni atto ostile e di predisporre ai tedeschi la cessione delle armi pesanti». L''ex ministro Taviani, con coraggio e onestà intellettuale ammise poi le sue responsabilità: «Un eventuale processo per l''orrendo crimine di Cefalonia avrebbe colpito l''opinione pubblica impedendo, forse per molti anni, la possibilità per l''esercito tedesco di risorgere dalle ceneri del nazismo. Io sono stato uno dei precursori della necessità del riarmo della Germania». Queste dunque le ragioni politiche a posteriori mentre negli anni cinquanta seguendo questa linea il giudice Santacroce, procuratore militare, accentuando per la verità una linea di condotta già tracciata dai due predecessori, non aveva occultato tutti i fascicoli, ma negli anni ne aveva mandati almeno 1300 alle procure territoriali competenti. Peccato che si trattasse di documenti senza testimonianze probanti. Quelli più pericolosi, con nomi, cognomi, descrizioni circostanziate, giacevano nel sempre più polveroso armadio della vergogna. Ma il casuale ritrovamento del ''94 ha agevolato l''apertura di quattro importanti processi: uno a Roma contro Priebke; due a Verona contro Theodor Saevecke (responsabile dell''eccidio di piazzale Loreto a Milano) e Friederch Engel (capo delle SS a Genova e organizzatore delle stragi in Liguria); infine uno a Verona che si è concluso con la condanna all''ergastolo dell''SS ucraino Michael Seifert, rifugiatosi in Canada dopo aver seviziato e ucciso con il suo camerata Otto Sein decine di prigionieri nel campo di prigionia di Bolzano. 

Fra le stragi rimaste senza colpevoli e di cui finora si è parlato troppo poco, quella di Sant''Anna di Stazzema dove morirono 362 civili di Fossali 67 ebrei e di Gubbio 40 caduti per rappresaglia. Su quest''ultimo eccidio umbro l''Amministrazione Comunale di Gubbio d''altronde ha già inviato alla Commissione una richiesta per il riesame dell''intera vicenda e due preparati studiosi come Luciana Brunelli e Giancarlo Pellegrini hanno recentemente aggiornato la ricostruzione di quei terribili eventi con una interessante documentazione che sarà sicuramente presa in considerazione dall''organismo d''indagine. 

Più in generale siamo quindi oggi, sessanta anni dopo quei tremendi eventi di fronte all''impunità a cercare di ristabilire un equilibrio tra giustizia e memoria perché di fronte a un delitto contro l''umanità, per ciò stesso imprescrittibile, il passare del tempo può forse attenuare l''esigenza dell''esecuzione della pena; ma non la necessità di una condanna. 

La memoria dunque può e deve anche supplire alla mancanza di giustizia; mantenere vivo il ricordo e il giudizio di valore che in esso è connaturato; assisterci nell''affrontare il presente ed il futuro, perché - come dice Orwell - «chi controlla il passato, controlla il futuro; chi controlla il presente, controlla il passato». 

Abbiamo dunque bisogno della memoria, in un presente che vede riaffiorare quotidianamente l''intolleranza, il rifiuto delle diversità, l''antisemitismo, la violenza xenofoba, il fanatismo religioso, la violazione dei diritti umani a cominciare da quello alla vita, in una dimensione che sembra un portato quasi ineluttabile della globalizzazione e ci coinvolge tutti immediatamente, attraverso la rete dell''informazione. D''altronde anche sul terreno delle nostre Carte fondamentali i l bisogno della memoria propone un legame inscindibile fra la Costituzione europea cui aspiriamo; la Costituzione italiana da cui muoviamo; la lotta di liberazione in cui la Costituzione affonda le radici. Le tre firme in calce alla Carta costituzionale - quella di Enrico De Nicola, erede della tradizione liberale; quella di Umberto Terracini, cofondatore del Partito comunista italiano; quella di Alcide De Gasperi, segretario del Partito popolare - esprimono il significato del processo costituente che nasce dalla Resistenza, attraverso il riconoscimento e l''affermazione del ruolo dei partiti politici antifascisti, organizzati nei Comitati di liberazione nazionale. E'' un processo che unisce motivazioni e ispirazioni profondamente diverse, ma tutte accomunate da un condiviso obiettivo di rinnovamento: dare vita ad uno Stato che fosse prima di tutto contrapposto all''esperienza totalitaria fascista; e che fosse nuovo, non già di semplice restaurazione dell''esperienza prefascista, ma di attuazione della democrazia, con la fondazione di uno Stato democratico che l''Italia non aveva mai avuto prima. In questo senso, si comprende come la Repubblica e la Costituzione sono nate dalla Resistenza: il diritto-dovere della memoria nei confronti di quel passato è essenziale per capire il significato e il fondamento antifascista, e non semplicemente afascista, della Costituzione: non già perché «ideologica», ma perché democratica. 

Il lavoro appena avviato della Commissione appare quindi tutt''altro che superato in un momento in cui è ancora viva la sete di giustizia e la necessità di non rimuovere il ricordo e la memoria in tempi dove si vogliono a tutti i costi mettere in discussione i caratteri identitari del nostro sistema democratico.