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Giovedì 20 Giugno 2002

"La Generazione del Risorgimento"
"I parlamentari umbri dal 1861 al 1870"    svevse

di Alberto Stramaccioni

La ricostruzione della vicenda dei parlamentari umbri nella più generale storia del parlamento nazionale (che abbiamo iniziato con l’articolo pubblicato il 25 aprile) può avere ragionevolmente inizio nel 1861, quando si riunisce a Torino, a Palazzo Carignano, il primo parlamento italiano, in quella che era stata la sede del parlamento subalpino. Su quei scanni siedono infatti per la prima volta i rappresentanti eletti dai cittadini della provincia dell’Umbria. Ed in quell’assemblea, accanto agli umbri, si trovano naturalmente molti dei parlamentari già presenti nell'istituzione piemontese fin dal 1848. Personaggi che avevano operato attivamente per l’unità e l’indipendenza dell’Italia e tra questi Camillo Cavour (morirà nel giugno dello stesso anno) che eserciterà un'influenza particolare sulle prime scelte politiche ed amministrative riguardanti la vita di Perugia e dell'Umbria.


Nel primo Parlamento italiano c’erano i rappresentanti di tutte le regioni o meglio di tutte le province della nuova nazione, ad eccezione naturalmente dei rappresentanti di Roma e del territorio romano-laziale, delle Venezie e di Mantova, che vennero eletti solo dopo il 1866 e il 1870.
Fino ad allora lungo la nostra penisola si erano avute limitate ed isolate esperienze di vita parlamentare (le repubbliche giacobine sull’onda della rivoluzione francese e della presenza napoleonica tra il 1796 e il 1799 e poi della repubblica romana del 1848-1849) ma è proprio nel 1861, dopo plebisciti ed annessioni che nel Senato della Repubblica e alla Camera dei Deputati siedono personaggi che in vario modo, almeno dagli anni venti e trenta dell’ottocento, avevano partecipato ai diversi moti insurrezionali, alle spedizioni militari, alle cospirazioni e alle prime due guerre di indipendenza.
Ciò è soprattutto vero anche per quanto riguarda i deputati della provincia dell’Umbria. Arrivano infatti al Parlamento nazionale dell’Italia unita (per i rappresentanti umbri ad eccezione di Francesco Guardabassi, è la VIII, dal 18 febbraio 1861 al 7 dicembre 1865) uomini come Tiberio Berardi, Giacomo Bracci, Nicolò Danzetta, Zefferino Faina, Lorenzo Leony, Coriolano Monti, Gioacchino Pepoli, Luigi Pianciani, Luigi Silvestrelli e diversi altri.
Rappresentanti dell’Umbria che vennero rieletti in gran parte nelle legislature successive, almeno fino al 1870, dopo la terza guerra d’indipendenza, e la liberazione di Roma dal dominio pontificio, mentre la sede della capitale della nazione e del parlamento era stata trasferita da Torino a Firenze nel 1865, (a Palazzo Vecchio nella sala dei Cinquecento), e poi nel 1870 a Roma a Montecitorio e Palazzo Madama.
Personaggi che erano stati in gran parte protagonisti, a Perugia e nelle città umbre della lunga fase delle lotte risorgimentali sviluppatesi lungo oltre un cinquantennio.
Una fase iniziata alla fine del Settecento sotto la guida delle organizzazioni massoniche attraverso i primi club rivoluzionari, nati sull’onda della rivoluzione francese e poi a partire dal 1796 con la presenza dell’esercito napoleonico che aveva sollecitato e sostenuto le diverse esperienze repubblicane e giacobine a Perugia, Terni, Spoleto e in altre città umbre. Di questa stagione tra le parecchie decine di repubblicani e giacobini che si misero in evidenza vale la pena di ricordare Giovan Battista Agretti, Antonio Brizi, Fabio Danzetta, Mariano Guardabassi, Annibale Mariotti i quali anche per ragioni familiari possono essere considerati i primi patrioti perugini e i padri naturali di coloro che vissero direttamente la prima stagione dell'Italia unita, libera e indipendente.
In effetti a Perugia la fase di una più intensa iniziativa risorgimentale si può riferire al 1831, quando (all’interno dello Stato pontificio collegandosi a Bologna centro della rivoluzione), i perugini organizzarono un’insurrezione dichiarando decaduto il potere temporale e così costituirono un governo provvisorio all’indomani dell’elezione del nuovo Papa Gregorio XVI. Ma come del resto nelle altre parti d’Italia, per l’assoluta prevalenza delle forze avversarie la sollevazione fu repressa. Purtuttavia nel corso di questa insurrezione e di quelle successive emerse una giovane generazione di patrioti destinati a diventare i protagonisti delle principali lotte risorgimentali in particolare a Perugia e in Umbria fino al 1859-60, come Tiberio e Reginaldo Ansidei, Tiberio Berardi, Tiberio e Giuseppe Borgia, Niccolò e Pompeo Danzetta, Francesco Donini, Ariodante Fabretti, Zefferino Faina, Francesco Guardabassi, Domenico Lupattelli, Glotto Monaldi, Coriolano Monti, Giovanni Pennacchi, Cesare Ragnotti, Giuseppe Rosa, Annibale Vecchi e tanti, tanti altri.
Molti di questi personaggi furono poi gli animatori delle mobilitazioni cospirative e delle battaglie nel biennio 1848-49 durante la prima guerra d’indipendenza (alla quale parteciparono qualche centinaio di giovani umbri) e alla sfortunata, ma significativa esperienza della Repubblica romana (il cui segretario fu il bettonese Giovanni Pennacchi) di Armellini, Mazzini e Saffi. 
Negli anni successivi alla caduta della repubblica, continuò la mobilitazione politica e culturale per l’unità e l’indipendenza dell’Italia dalle monarchie straniere e dal dominio papale e nel decennio 1850-1860 sia pure tra crisi e difficoltà, proseguì l’impegno dei patrioti e proprio a Perugia ci fu una singolare forma di protesta come lo "sciopero del fumo" per ridurre il reddito del monopolio dei tabacchi appartenente allo Stato pontificio.
Scoppiata nel 1859 la seconda guerra d’indipendenza, ancora una volta oltre cinquecento perugini parteciparono alle diverse battaglie del conflitto, mentre a Perugia il 14 giugno una rivolta contro le truppe pontificie portò alla formazione di un governo provvisorio guidato da Guardabassi, Faina, Vecchi, Danzetta, Berardi e Omicini. Le stragi e le violenze operate dai mercenari svizzeri che ne seguirono, culminate il 20 giugno, ebbero una grande eco sulla stampa italiana, europea ed americana e solo il 14 settembre 1860 Perugia e l’Umbria vennero liberate dall’esercito piemontese. Il governo sabaudo guidato da Cavour inviò subito a Perugia con pieni poteri un commissario straordinario, il bolognese, Gioacchino Pepoli, coadiuvato dal ternano Luigi Silvestrelli. Così dal 12 settembre 1860 fino al 29 dicembre dello stesso anno si sviluppa una esperienza politica ed amministrativa particolare destinata ad incidere profondamente sulla vita e lo sviluppo futuro di tutto il territorio. Prima di partire tra le altre cose il Pepoli aveva unificato in una sola provincia, quella appunto dell’Umbria, un territorio che sotto lo stato Pontificio era stato diviso per lungo tempo in quattro realtà quali Perugia, Rieti, Spoleto e Orvieto. Una nuova organizzazione amministrativa e istituzionale che non mancò di suscitare forti reazioni, ma che rimase tale fino al 1927 quando nacque la provincia di Terni. 
Nello stesso intenso periodo di fine anno, e in particolare il 4 e 5 novembre 1860, si svolse in Umbria un plebiscito nel corso del quale, a larghissima maggioranza, gli umbri avevano votato a favore della adesione al nuovo stato unitario. Nella scheda era richiesto: “volete far parte della monarchia costituzionale del Re Vittorio Emanuele II”, e in 97.040 risposero Si e appena 380 No. 
Con la Provincia dell'Umbria nel nuovo Stato si arriva così al 18 febbraio 1861 quando si svolgono le prime elezioni in un territorio che conta poco più di mezzo milione di abitanti, in larghissima parte analfabeti e dove (secondo le leggi elettorali dello stato sabaudo fatte proprio da quello nazionale) vengono chiamati al voto poche migliaia di elettori, quasi tremila, nei dieci collegi per eleggere altrettanti deputati con il sistema maggioritario e il doppio turno di collegio. I deputati eletti con due o trecento voti ciascuno sono quasi tutti di orientamento liberale moderato, espressione per lo più della professione forense o del mondo agrario o degli alti gradi della pubblica amministrazione. Scorrendo poi gli eletti umbri nei primi dieci anni del parlamento italiano e cioè nelle due legislature successive accanto, come si è detto, ai protagonisti umbri delle lotte risorgimentali si trovano anche personaggi della nuova classe dirigente italiana che non vengono dalla provincia. Sono i primi parlamentari cosiddetti importati. L'esempio più clamoroso è quello di Francesco Crispi, eletto nel collegio di Città di Castello che poi però opterà per quello di Castelvetrano, ed un altro è quello di Stefano Jacini che invece si dedicherà con particolare impegno ad affrontare e risolvere i problemi della realtà ternana anche attraverso i suoi diversi e importanti impegni ministeriali. Diversa è la situazione di Pepoli che dopo il ruolo svolto da Commissario, viene candidato alla camera nel collegio di Perugia I e poi sceglierà Bologna, ma continuerà ad occuparsi in parlamento dei problemi dell'Umbria. 
Un caso al contrario sarà per certi versi quello di Francesco Guardabassi, il cosiddetto "babbo dei perugini" che verrà eletto nella VII legislatura nel collegio di Castiglion Fiorentino e poi dopo il 1861, non trovando collocazione nei collegi elettorali perugini e umbri, verrà nominato senatore del Regno assieme ad altri autorevoli personaggi.
Molti parlamentari sono naturalmente espressione delle diverse organizzazioni massoniche che avevano animato e guidato il processo risorgimentale a Perugia e in Umbria e al cui interno convivevano diversi orientamenti politici, filo monarchici o filo repubblicani, conservatori o progressisti ed anche filosocialisti.
Tutti i deputati avevano una ridotta rappresentanza sociale, ma naturalmente erano espressione diretta dei ceti dominanti delle principali città dell'Umbria ed ogni eletto aveva una storia personale e politica tale che gli consentì di esprimere con una certa autorevolezza il compito di parlamentare nella propria terra e nelle assemblee nazionali. Tra questi va sicuramente citato lo spoletino Luigi Pianciani che oltre ad avere svolto un ruolo particolarmente significativo nel movimento risorgimentale divenne poi sindaco di Roma.
A questo punto vale la pena di sottolineare come secondo le norme dello Statuto Albertino nel sistema costituzionale monarchico la Camera dei Deputati era la camera elettiva e i deputati rappresentavano la nazione in generale e non le sole province in cui furono eletti e “nessun mandato imperativo poteva loro darsi dagli elettori”. La Camera si doveva rinnovare ogni cinque anni, ma il sovrano poteva “discioglierla”. Quanto al funzionamento, entrambe le camere erano poste sullo stesso piano e identiche erano le prerogative e le funzioni per i senatori e i deputati che non dovevano avere nessuna retribuzione o indennità. Il senato era la Camera del Re, perché dal re erano nominati a vita i senatori e la scelta si restringeva nell’ambito di alcune categorie, ventuno per la precisione, indicate in un articolo dello Statuto Albertino e cominciavano dagli arcivescovi e dai vescovi e finivano con quelle persone che per il loro alto censo tributario rientravano nella cerchia delle più ricche famiglie del regno. Tra queste categorie estreme vi erano poi quelle degli alti funzionari civili, militari e dell’ordine giudiziario, i deputati dopo tre legislature, i ministri di stato e anche quella di coloro che "con servizi o meriti eminenti avevano illustrato la patria".
Nel nuovo parlamento che non voleva certo essere espressione del vecchio stato piemontese e della monarchia di Sardegna, ma di un nuovo stato, quello italiano appunto ci si era arrivati come è noto attraverso una serie di plebisciti e la maggioranza si componeva e si scomponeva a seconda delle circostanze più varie, cosicché erano i Presidenti del Consiglio che dovevano trovarsi ognuno una maggioranza e i governi si sostenevano più per coalizioni di gruppi che per forza di partiti chiamati a risponderne anche di fronte al paese, e questa situazione non c’è dubbio che lasciasse un certo spazio al potere monarchico. Si ebbero così molte crisi di governo che non avevano certo origini parlamentari anche se formalmente nel primo parlamento esistevano due raggruppamenti principali contrassegnati con i nomi di Destra e Sinistra. Comunque la contrapposizione tra la destra e la sinistra che si era delineata agli inizi del governo statutario venne quasi a scomparire durante il famoso "connubio" dei ministeri Cavour dove entrambi i raggruppamenti accettavano e volevano un governo “liberale” e convergevano sulle scelte di politica interna e di politica estera anche se spesso erano in conflitto sui metodi con cui perseguire i diversi obiettivi. Più cauta più conservatrice era la destra, più “democratica” la sinistra condizionata anche dalla presenza di componenti repubblicane e attenta alle esigenze dei ceti sociali più deboli.
Le divisioni rinacquero dopo la morte di Cavour e permasero fino al 1876 e in questo quindicennio la sinistra rappresentò l’opposizione mentre proprio nel 1876 la gran parte di essa divenne forza di governo sotto la guida prima di Agostino De Pretis e poi di Francesco Crispi che realizzarono una maggioranza vastissima dove confluirono uomini di sinistra e di destra dando vita alla cosiddetta stagione del "trasformismo".
D'altronde negli anni sessanta e settanta dell’Ottocento, la mancanza di nette divisioni politiche non era che l’effetto della ridottissima partecipazione alla vita politica del popolo italiano a causa del suffragio ristretto. Per questo la Camera era quasi interamente espressione di un ceto borghese alto, ma questa omogeneità del corpo elettorale derivava anche dall'astensione di molti elettori fermati dal famoso "non expedit" ingiunto dal pontefice ai cattolici per vietare una loro collaborazione con il governo italiano accusato di aver distrutto il potere temporale. Solo nel 1882 con la nuova legge elettorale e l’allargamento del diritto di suffragio, si consentì l’introduzione di altre correnti politiche e culturali nel corpo elettorale e per esso nella Camera, ma neanche questo valse a consentire quell’alternanza di due partiti che poteva risolvere la crisi di funzionamento del governo parlamentare.
Purtuttavia tra il 1861 e il 1870 nelle tre legislature che si succedono numerosi sono i provvedimenti di natura politico-amministrativa ed economico-sociale che sono destinati ad incidere profondamente nella vita della Provincia dell'Umbria e un ruolo fondamentale svolgono i parlamentari eletti nei dieci collegi del territorio.



I parlamentari umbri o eletti nella 
provincia dell’Umbria dal 1861 al 1870 (*)
eletti nella VIII legislatura (dal gennaio 1861 al ottobre 1865)
IX legislatura (dall’ottobre 1865 al marzo 1867)
X legislatura (dal marzo 1867 al novembre 1870)

Perugia I Perugia II Todi Terni Città di Castello Foligno Orvieto Spoleto Poggio Mirteto Rieti
Pepoli Giovacchino
De Sonnaz Maurizio
Monti Coriolano
Danzetta Nicolò
Faina Zefferino Leony Lorenzo
Ferri Pisolini Ferrante
Brioschi Francesco
Corsini Di Lajatico Tommaso
Silvestrelli Luigi
Montecchi Mattia
Jacini Stefano
Massarucci Alceo Cempini Leopoldo
Crispi Francesco
Fabbri Angelico
Carleschi Carlo
Dina Giacomo Berardi Tiberio
Bartolini Luigi
Gerra Luigi
Bracci Giacomo
Ferracciù Nicolò Scartabelli Luciano
Pianciani Luigi
Di Campello Paolo
Govone Giuseppe
Fiorentino Francesco Federici Romolo
Soldini Giuseppe
Montecchi Mattia
Pianciani Luigi
Galletti Giuseppe
Manni Giuseppe
Piacentini-Rinaldi Giuseppe Biancoli Oreste
Mautino Massimo
Solidati-Tiburzi Luigi



(*) Alcuni dei deputati sono stati rieletti più volte nei diversi collegi