Giovedì 22 Maggio 2008
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"LA PERSECUZIONE DEGLI EBREI IN UMBRIA"
"L’esperienza dell’internamento a Palazzo Guglielmi sull’Isola Maggiore"    sdgsd

di Alberto Stramaccioni

Perugia e l’Umbria non hanno avuto una presenza di membri della comunità ebraica paragonabile a quella di Roma, Firenze, Venezia, Ferrara, Padova, Trieste peraltro anch’esse non numerose rispetto ad altri paesi europei. Pur tuttavia a Perugia, Città di Castello, Gubbio, Orvieto, Foligno, Narni vivevano fin dal medioevo qualche decina di famiglie ebraiche che, con le leggi razziali del 1938 videro messa in discussione la loro libertà di lavorare, studiare, muoversi e di essere a tutti gli effetti cittadini italiani. L’esclusione dalle scuole e dagli impieghi pubblici, il divieto di matrimonio misto, l’obbligo del lavoro coatto rigorosamente manuale, erano alcune delle misure persecutorie che portavano all’emigrazione e al licenziamento anche di noti intellettuali perugini come Cesare Finzi, Gino De Rossi e Dino Levi De Veali direttore della Ferrovia Centrale Umbra così come di Eugenio Alphandery dirigente del lanificio di Ponte Felcino.


Ma fu soprattutto dopo l’8 settembre 1943 che per i circa 300 ebrei residenti, internati, sfollati o in fuga in Umbria iniziò una vera e propria persecuzione con l’internamento in diversi campi di prigionia della provincia di Perugia e in particolare in due fra i principali che erano quello allestito presso l’Istituto Magistrale e l’altro all’Isola Maggiore sul lago Trasimeno. 
Molte esperienze di salvataggio di ebrei sono state raccontate e in particolare quelle di Assisi, Città di Castello, Gubbio, Monte Tezio con protagonisti uomini della chiesa cattolica come Don Aldo Brunacci, Padre Rufino Nicacci, Monsignor Beniamino Schivo, sostenuti dai loro vescovi, ma l’esperienza dell’Isola maggiore è emblematica sotto altri punti di vista. 
Nella primavera del 1944, 27 ebrei di varie nazionalità furono internati nel Palazzo Guglielmi sull’Isola Maggiore dal Prefetto Armando Rocchi di Perugia e affidati in custodia a Luigi Lana aiutato da alcune giovani guardie ausiliarie provinciali. Durante la detenzione tutti gli isolani cercarono di aiutare i prigionieri e il parroco dell’isola don Ottavio Posta, esponendo si a gravi rischi fungeva da postino per i prigionieri, recandosi a Perugia in Piazza IV Novembre nella bottega di Vincenzo Antonioni antifascista cattolico a prelevare posta e notizie. Ma il 14 giugno 1944, alcuni militari tedeschi alla ricerca sull’Isola Maggiore di una radio trasmittente, uccisero quattro persone per rappresaglia dopo la morte di un soldato tedesco. A questo punto don Ottavio, preoccupato per ulteriori ritorsioni contro gli ebrei, chiamò quindici pescatori dell'Isola e nottetempo decise di traghettarli verso la linea alleata che, nel frattempo, si era attestata nei pressi di S. Arcangelo sulla riva del lago Trasimeno che era diviso a metà dalla linea Albert difesa ad oltranza sulla linea gotica della dorsale appenninica. L'operazione rischiosissima dopo che nei giorni precedenti si erano avute azioni di partigiani si realizzò nella notte tra il 20 e 21 giugno 1944, con cinque barche.
Il racconto della liberazione lo hanno fatto gli stessi ebrei in una lettera autografa di ringraziamento inviata il 23 agosto 1944 all'arcivescovo di Perugia Mario Vianello, ma resa pubblica solo recentemente. Nella missiva si rende noto «che Don Ottavio Posta, parroco dell'Isola Maggiore sul Trasimeno, durante il periodo della nostra prigionia nell'isola per le leggi razziali, fu per noi di grande aiuto e conforto. Quando il pericolo maggiormente incalzava per le minacce dei tedeschi contro di noi, egli con atto veramente paterno e generoso, non solo indusse gli isolani a trasportarci nella riva ove erano di già gli inglesi; ma lui stesso affrontò con noi il pericolo della traversata sul lago, sotto il tiro del cannone e delle mittagliatrici; dando un fulgido esempio ai suoi parrocchiani e meritando la nostra più profonda riconoscenza. Saremmo assai grati a Vostra Eccellenza se volesse rendersi interprete con lo sua alta parola verso il benemerito Don Ottavio Posta della nostra gratitudine per il suo atto altruistico e di buon Pastore verso degli infelici oppressi da leggi inumane.» La lettera è firma da Bice Todros Ottolenghi, Coen Giuliano, Albertina Coen e Livia Coen. La stessa Livia Coen in una testimonianza del 3 settembre 1945 resa al tribunale di Bologna nel processo contro Armando Rocchi conferma la ricostruzione della vicenda sostenendo che «il 14 dicembre 1943, insieme a mia sorella Albertina e mia cognata Ada Saralvo, fui arrestata dai carabinieri perché appartenente a razza ebraica e fui deportata in campo di concentramento prima alla Villa Ajò, poi alle Scuole Magistrali, e infine al Castello Guglielmi. Il Capo del Provincia Armando Rocchi mi chiamò in Prefettura due giorni dopo che fui arrestata e mi addimostrò il suo dispiacere per il nostro arresto e aggiunse che, non potendo far nulla per la nostra liberazione, mi promise che fino a che Lui era Capo della Provincia non ci avrebbe allontanato dalla Provincia; infatti questa promessa la mantenne. Alla richiesta che dovevamo essere trasportati dalle Magistrali al Campo di Concentramento Nazionale di Carpi in provincia di Modena, lui pensò di metterci al Castello Guglielmi, Isola Maggiore, sul Trasimeno, tanto per mantenere la sua parola e nasconderci dalle ire tedesche. Al Castello Guglielmi al momento della ritirata vennero 45 Tedeschi per arrestarci, ma l'agente della Questura cercò di metterci in salvo e ci nascose nel fitto del bosco ove stemmo tre giorni e tre notti e poi, insieme con il parroco Don Ottavio Posta, ci portarono di notte all'altra sponda del Lago che era già stato liberato dagli Inglesi e così potemmo, con l'aiuto dei buoni, tornare salvi alle nostre case"
La ricostruzione e le testimonianze sulla vicenda dimostrano la solidarietà di semplici cittadini come i pescatori e il parroco Don Ottavio Posta, la protezione del Prefetto fascista Armando Rocchi, conosciuto invece in altre circostanze, come nei Balcani e a Perugia per la sua brutalità nella tortura e la ferocia nell’uccisione diretta dei partigiani.
Il 10 gennaio 2008 l’intera vicenda del salvataggio degli ebrei da parte dei pescatori di Isola Maggiore e del parroco Don Ottavio Posta (1882-1963) è stata riconosciuta degna di menzione da parte della Commissione per la concessione delle ricompense al valore e merito civile istituita presso il Ministero degli Interni che ha concesso la medaglia d’oro al valor civile proprio al parroco Don Ottavio Posta.

 

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