Venerdì 13 Aprile 2007
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"L'Umbria degli anni Novanta"
"1989-2001, dal Pci al Pds ai Ds"     sdfsdf

di Alberto Stramaccioni

Riflettere sull’evoluzione dal Pci al Pds ai Ds e sui mutamenti del sistema politico in Umbria, negli anni Novanta, così come mi è stato richiesto, non è cosa che può essere compiuta in breve. Ma soprattutto astraendoci dai tanti fattori locali e generali che hanno finito con l’incidere particolarmente nella nostra vicenda regionale negli anni del passaggio dalla prima alla seconda fase della vita della Repubblica. L’avvio infatti, delle trasformazioni politiche realizzatesi in più di un decennio trovano origine, soprattutto in una “regione rossa”, nelle tante e complesse vicende interne ed internazionali intervenute a partire dalla “svolta dell’Ottantanove”. 


I. Lo scenario nazionale, dalla prima alla seconda fase della Repubblica

Con una rapidità imprevista, tra il 1989 e il 1991entravano in crisi i diversi sistemi politici comunisti, a partire dalla Germania Orientale, fino a coinvolgere tutti i regimi dell’Europa orientale, culminando con la dissoluzione dell’Unione Sovietica. Un processo di crisi e trasformazione politica che poneva fine alla lunga guerra fredda. 
La caduta dei regimi comunisti dell’Est non poteva non avere effetti proprio in quel paese che vedeva da decenni all'opposizione il più forte partito comunista dell'Europa e dell'Occidente capitalistico. Proprio in Italia infatti, da quasi mezzo secolo ininterrottamente, governava sia pure con alleati un partito, la Democrazia cristiana, che dell'anticomunismo e del filoatlantismo aveva fatto le due politiche guida. 
Di fronte a questi eventi la sinistra italiana e il Pci in particolare, dopo oltre un decennio di crisi e di incertezze strategiche, si trovava in una condizione politica e organizzativa molto difficile e così nel corso dello stesso 1989, bicentenario della rivoluzione francese, sotto l'incalzare degli avvenimenti internazionali Achille Occhetto il 12 novembre, dopo la caduta del muro di Berlino, alla Bolognina, popolare quartiere di Bologna, invita a non continuare su vecchie strade, ma ad inventarne di nuove per unificare le forze progressiste e riformiste; propone cioè l'abbandono del vecchio nome e simbolo per una più radicale svolta in grado di modificare il sistema politico italiano. Nella successiva riunione della Direzione e del Comitato Centrale Occhetto sviluppa la proposta della svolta dell’Ottantanove proponendo una fase costituente per dar vita possibilmente insieme ad altri ad una nuova formazione politica.
Dal Pci al Pds, dal maggioritario al proporzionale Dopo il XIX Congresso del Pci tenutosi nel marzo 1990, il 10 ottobre dello stesso anno viene presentata la proposta di nuovo nome e nuovo simbolo. Tra la fine di gennaio e l'inizio del febbraio 1991 a Rimini si tiene il XX e ultimo congresso del PCI che da vita formalmente al Partito Democratico della Sinistra. Lo stesso giorno della nascita del PDS (3 febbraio) un gruppo di delegati convoca una conferenza stampa per dichiarare di non condividere la scelta del nuovo partito e annuncia la nascita di un movimento per la rifondazione comunista. Nel dicembre dello stesso anno un congresso costitutivo fonda il Partito per la Rifondazione Comunista, presidente è eletto Armando Cossutta e segretario Sergio Garavini.
Fra il 1992 e il 1994 prende corpo una vera e propria crisi di regime che vede delegittimata, per ragioni politiche interne (corruzione nel sistema politico, crisi finanziaria, criminalità diffusa) ed internazionali, la coalizione dei partiti di governo e una grande parte della classe dirigente, che, nella sua prevalente componente democristiana, governava da quasi mezzo secolo l’Italia.
E’ in questo quadro che vanno in porto nel 1993 due nuove leggi elettorali. L’una per l'elezione diretta dei sindaci e dei presidenti di provincia e l’altra di tipo maggioritario per l’elezione del Parlamento della Repubblica. Il 6 agosto 1993, viene infatti approvata la nuova legge elettorale per la Camera dei Deputati che dovrebbe omogeneizzare le modalità di elezione a quella che il referendum aveva sancito per il Senato. Viene chiamata mattarellum dal nome dell'esponente democristiano (poi popolare) che aveva proposto il complesso meccanismo che consentiva di mantenere, all'interno di un sistema prevalentemente maggioritario ed uninominale, una quota proporzionale del 25% di seggi destinata alle liste del partito. Una legge destinata ad avere un grande effetto sulla riforma del sistema politico italiano verso una logica bipolare e un permanente confronto tra due schieramenti, la cui prospettiva finisce con il ristrutturare l'insieme della geografia politica italiana e la vita degli stessi partiti.
Alla luce della nuova legge nel mese di febbraio 1994, dopo discussioni e convulse trattative, si definiscono gli schieramenti elettorali. A sinistra viene presentata l'Alleanza dei Progressisti, di cui fanno parte insieme al PDS, i Verdi, i Socialisti Italiani, Alleanza Democratica e Rifondazione Comunista. Nel centrodestra si delinea un doppio accordo, tra Lega, Radicali pannelliani e Forza Italia al Nord, tra Alleanza Nazionale e Forza Italia al Sud. Un accordo peraltro si era già definito con il gruppo postdemocristiano di Casini e Mastella (il Centro Cristiano Democratico), che avrebbe espresso le sue candidature indipendenti all'interno di Forza Italia. 
La vittoria di Berlusconi nel sistema bipolare. Vince le elezioni Berlusconi, il cui Polo, pur nella geometria variabile delle alleanze che lo caratterizza ottiene il 46% dei voti al proporzionale della Camera e la maggioranza assoluta dei seggi in quel ramo del Parlamento. Alla maggioranza assoluta si avvicina anche al Senato. Nell'alleanza dei Progressisti i positivi risultati nel proporzionale di PDS (20,03%) e di Rifondazione Comunista (6%), non compensano la secca sconfitta della coalizione ed i risultati inconsistenti degli alleati anche nel proporzionale (né Verdi, né il raggruppamento Ad-Si, né la Rete superano lo sbarramento del 4%). Alla metà di maggio, il governo Berlusconi è già insediato ottenendo la fiducia del Parlamento ed a giugno le elezioni europee, con il 30% dei voti di Forza Italia, confermano un ampio consenso popolare al suo leader.
Dopo le elezioni europee lascia la guida del Pds Achille Occhetto. Si sviluppa una competizione tra due giovani dirigenti molto diversi tra loro per formazione politica e personalità, Massimo D'Alema e Walter Veltroni. Il Consiglio Nazionale del Pds, l'organo che per Statuto è abilitato alla elezione del nuovo segretario sceglie a maggioranza D'Alema che subito dopo l'elezione, al giornalista de «l'Unità» che lo intervista dichiara che «il nostro compito è portare la sinistra italiana al governo del paese.
Intanto si conclude così, con quella che viene definito dal centrodestra un “ribaltone politico-parlamentare”, l'esperienza del governo della coalizione di Silvio Berlusconi, che secondo le regole del maggioritario acquisite con le nuove leggi elettorali, chiedeva legittimamente nuove elezioni, non considerando fino in fondo l'anomalia e la contradditorietà del nascente sistema politico italiano all'interno del quale convivevano ancora due filosofie istituzionali.
Comunque nei primi mesi del 1995 la novità politica più importante si realizza con l’ingresso nella scena politica di Romano Prodi (3 febbraio), sostenuto da un gruppo di manager, intellettuali e politici di ispirazione cattolica e laica. Il progetto su cui intendono lavorare è quello della costruzione di un 'polo democratico', di cui l'economista cattolico sia, se non il leader, almeno il candidato premier. 
L’Ulivo al potere e la sfida riformista. Le elezioni politiche del 21 aprile 1996 vedevano contrapposte due grandi coalizioni che si erano ridefinite rispetto all'esperienza del 1994, l’una guidata da Romano Prodi l’altra da Silvio Berlusconi. Il Polo di centrodestra era formato da Forza Italia, Ccd-Cdu, ed Alleanza Nazionale. L'Ulivo si componeva invece di cinque liste: PDS, PPI, Verdi, Unione Democratica e Rinnovamento Italiano. A vincere è l'Ulivo, che in Senato ottenne la maggioranza assoluta, mentre alla Camera aveva bisogno dell'appoggio di Rifondazione. Il PDS risultava il primo partito nel voto proporzionale con il 21,1% dei voti. Il Polo usciva sconfitto con Forza Italia al 20,6%, Alleanza Nazionale al 15,7% e quindi, a causa del mancato accordo con la Lega, che superando il quorum nel proporzionai : con il 6% dei voti, riuscì ad ottenere una rappresentanza sia alla Camera che al Senato.
In maggio Prodi formava il proprio governo. Ne facevano parte, tra gli altri, come vicepresidente e ministro della Cultura Walter Veltroni, in qualità di ministro degli Esteri Dini, e come ministro degli Interni Giorgio Napolitano. Prodi si assicurava anche l'apporto di due prestigiosi tecnici indipendenti, con caratteristiche diverse, come Carlo Azeglio Ciampi al Tesoro e Antonio Di Pietro ai Lavori Pubblici. 
Intanto al secondo Congresso nazionale del Pds, svoltosi a Roma dal 20 al 23 febbraio 1997, la proposta principale di D'Alema era proprio questa, cioè di costruire un nuovo partito più ampio, in cui in primo luogo confluissero i soggetti politici che avevano partecipato alle elezioni nelle liste del PDS, ma ancor più di aprire un confronto con la tradizione socialista italiana, di lanciare un ponte verso tutto un mondo politico che, dopo Tangentopoli, aveva conosciuto un grande disorientamento.
Nel corso del primo governo Prodi, accanto a queste ipotesi di riforma del sistema economico sociale, il Pds continua a sostenere la necessità di profonde riforme del sistema politico-istituzionale italiano. Si è convinti che un complesso progetto di riforma nei due campi possa modernizzare realmente il paese che qualcuno definisce, nano politico e gigante economico, essendo pur sempre l'Italia il quinto o sesto paese industrializzato nel mondo, ma molto fragile nel suo sistema di governo, di organizzazione dello stato di efficienza e funzionalità della Pubblica Amministrazione.
È in questo quadro che il segretario nazionale del PDS accetta di affrontare la difficile sfida riformista sul terreno della modernizzazione delle istituzioni e viene eletto presidente della nuova Commissione Bicamerale per le riforme istituzionali.
Dal Pds ai Ds per unire una sinistra divisa. Nei primi mesi del 1998 giunge a maturazione il processo che era stato delineato dal congresso del PDS del 1997. Dopo un lungo lavoro politico ed organizzativo si riuniscono a Firenze dal 12 al 14 febbraio gli Stati Generali della sinistra per dare vita al nuovo partito, che si chiamerà Democratici di Sinistra e cambierà simbolo. Sotto l'immagine della quercia del PDS dove c'era il vecchio simbolo del PCI, si collocherà la rosa del Partito Socialista Europeo. 
Intanto il 7 ottobre, durante il dibattito sulla fiducia al governo, mentre il segretario del PRC Bertinotti annuncia il suo voto contrario al governo, il presidente di quel partito, Cossutta, dichiara di volere confermare la fiducia a Prodi, insieme ad un nutrito gruppo di deputati e senatori. Annuncia di voler costituire un nuovo partito, i Comunisti Italiani, cui darà vita qualche giorno più tardi. Nonostante ciò, il 9 ottobre il governo Prodi non riesce ad ottenere la fiducia della Camera. Cade, infatti, con un solo voto di scarto (303 contro 302), aprendo una crisi la cui soluzioni si presentano molto incerte.
Di fronte a questa situazione, il gruppo dirigente dei Ds, in maniera unitaria, decise di trovare nel Parlamento una nuova maggioranza per un nuovo governo. Fu allora che il maggior partito della coalizione impegnò il suo esponente più autorevole per questo tentativo. Massimo D'Alema costruì un programma e una maggioranza e il 21 ottobre 1998 entrò in carica dopo aver ottenuto la maggioranza in Parlamento.
Dopo la crisi del primo Governo D’Alema si tiene il primo congresso nazionale dei Ds si svolge a Torino tra il 13 e il 16 gennaio 2000 all'insegna della pacificazione interna, come dimostra l'approvazione quasi unanime (inclusa la minoranza di sinistra), di un Programma fondamentale per il socialismo del XXI secolo (proposto da una commissione guidata da Giorgio Ruffolo), ma non risolve molti nodi politici e programmatici, Veltroni accentua alcuni riferimenti ideologici valorizzando il pensiero di Carlo Rosselli e Piero Calamandrei, don Giuseppe Dossetti e don Lorenzo Milani. D'Alema, viene nominato presidente del partito in quanto premier, insiste sul governo e sulla capacità di attuare positive riforme, che il partito dovrebbe con più forza sostenere.
Il risultato elettorale delle elezioni del 2000 è quindi particolarmente negativo per il centrosinistra con un insuccesso anche dei Ds di fronte al quale con un forte senso di responsabilità, è lo stesso D'Alema a trarre le conclusioni e a dimettersi da presidente del Consiglio dei ministri.
Il ritorno della destra e la crisi della sinistra. Dopo un Governo di transizione, nel febbraio 2001, le Camere vengono sciolte e proclamate le elezioni nel corso delle quali i due schieramenti si presentano con due candidati, Francesco Rutelli per il centrosinistra e ancora Silvio Berlusconi per il centrodestra. Nel centrosinistra Ds e Ppi falliscono i tentativi di trovare qualche forma di collegamento con il movimento di Di Pietro che va alle elezioni per proprio conto e qualche forma di desistenza al Senato con Rifondazione Comunista (che nell'uninominale della Camera ha scelto unilateralmente di non presentare propri candidati). La destra invece, riesce a realizzare una forma mascherata di desistenza, che consente ai neofascisti di Rauti una presenza parlamentare.
I risultati elettorali del 13 maggio 2001 vedono prevalere nettamente l'alleanza guidata da Berlusconi. Lo scarto in voti è forse minore del preventivato; solo 500.000 nei collegi della Camera, dove ha funzionato la desistenza di Rifondazione, più marcato è nel proporzionale. In ogni caso la maggioranza parlamentare è assai ampia in entrambi i rami del Parlamento con quasi cento deputati in più per la Cdl alla Camera e cinquanta al Senato. Si apre quindi per la sinistra e il centrosinistra una intensa fase di riflessione che porterà in particolare i Ds a ridefinire una propria prospettiva e identità programmatica con il II Congresso nazionale del partito che si terrà a Pesaro dal 16 al 18 novembre 2001.
Una lunga discussione coinvolgerà per mesi le organizzazioni del partito in un confronto su tre documenti congressuali alternativi che prefigurano altrettante analisi e scenari della situazione internazionale e nazionale e un diverso modo del partito e della coalizione. Ad ogni documento è poi, secondo il regolamento congressuale, collegata la figura di un candidato segretario dopo le dimissioni di Veltroni, eletto nel frattempo sindaco di Roma.
All'Assise di Pesaro Piero Fassino viene eletto nuovo segretario nazionale del partito, e si avvia così una nuova fase, una sfida per ricostruire un partito, una coalizione politica di opposizione che nel mentre critica e contrasta radicalmente le scelte del governo Berlusconi è però anche capace di prospettare un’alternativa di governo, innanzitutto nell’interesse del Paese.

II. L’Umbria e la svolta dell’Ottantanove

L’Umbria alla fine degli anni Ottanta si trova in una crisi particolarmente acuta del suo sistema economico-sociale. Le grandi imprese pubbliche e private della regione attraversano una profonda mutazione, e in particolare lungo l’asse Spoleto-Terni-Narni si verifica un processo di forte deindustrializzazione. Con questo dato, deve fare i conti il sistema politico locale imperniato sulla egemonia della tradizionale alleanza tra le forze della sinistra, Pci e Psi, che governa la comunità regionale.
In effetti la crisi economica va al di là dei pur pesantissimi effetti della ristrutturazione industriale in alcuni settori, dalla siderurgia alla chimica, dall’alimentare all’edilizia, come dimostra il dato eclatante della disoccupazione intellettuale e femminile, a cui un semplice rilancio di un certo modello industriale non avrebbe comunque potuto offrire una risposta adeguata a risolvere i diversi e complessi problemi. E’ proprio la qualità dell’offerta di lavoro, oltre la sua dimensione quantitativa, ad indicare l’esigenza di un cambiamento di modello, per la struttura produttiva e per l’economia del territorio umbro. Nel periodo dal 1981 al 1991 nella regione sono stati persi quasi quindicimila posti di lavoro. Il tasso di disoccupazione nel 1991 risultava in Umbria del 12% ben distante dal dato dell’Italia settentrionale. In aggiunta c’è da dire che con la grande industria, negli anni Ottanta, era entrata in crisi la stessa identità regionale quella di una “città regione” coesa ed unitaria che manifesta l’ esaurirsi del suo modello di sviluppo affermatosi grazie alla crescita dello Stato sociale negli anni Settanta .
La crisi del modello economico. Alla deindustrializzazione del ternano seguita alla crisi dei settori pubblici, siderurgico e chimico, si aggiungono le difficoltà della piccole e medie industrie perugine. La diminuzione dei trasferimenti dello Stato mette in discussione la quantità e la qualità dei servizi erogati, le possibilità di sostegno delle attività, produttive e non. Ad una erosione dell'identità fanno da contrappunto il localismo, la protesta contro le istituzioni regionali, che sarebbero colpevoli di privilegiare alcune aree a scapito di altre, è la crisi del regionalismo. La ristrutturazione produttiva, inoltre anche in Umbria ha operato con dinamiche simili al resto del paese ed è stata motivo di tensioni e fenomeni di disgregazione sociale. Il rapporto delle istituzioni con il mondo imprenditoriale mostra difficoltà e va logorandosi anche quello con i partiti, segno che la crisi del regionalismo porta all'esaurimento del modello di relazioni costruito a partire dalla fine degli anni Cinquanta per affermare la programmazione economica dello sviluppo in una regione particolarmente arretrata.
All'inizio degli anni Novanta l'Umbria è quindi di nuovo ad una svolta della sua storia. Il processo di crescita economica, sociale e civile che le ha fatto risalire la china dell'arretratezza, ha prodotto quello che è stato definito un “equilibrio instabile”. Per citare un esempio significativo, al recupero del divario, storicamente consolidato, fra Perugia e Terni, ha fatto seguito una sorta di inversione di tendenza, che ha condotto ad una nuova divaricazione. Perugia (priva per molto tempo di una ben definita vocazione economica, ed alla fine paradossalmente premiata dalla maggiore articolazione e flessibilità della sua struttura) ha sorpassato Terni, penalizzata dalla sua monocultura industriale. Di fronte a questa realtà lo sforzo che le istituzioni e le forze economiche e sociali cercano di compiere in questi anni, è quello di ottenere la ristrutturazione delle grandi imprese, di alcuni settori produttivi senza avere solo tagli occupazionali e riduzioni produttive, ma anzi con forti innovazioni impiantistiche e un ruolo strategico delle produzioni strategiche più competitive.
Si tenta, infatti di avviare un’operazione di ammodernamento e diversificazione dell’intero sistema economico, puntando sulla ricerca scientifica e lo sviluppo tecnologico, sui servizi terziari alla piccole e medie imprese, sullo sviluppo di una rete infrastrutturale moderna, sulla tutela e la valorizzazione, a fini turistici, delle notevoli risorse naturalistiche e culturali del territorio. 
La crisi del modello politico regionalista. Ovviamente un progetto di così ampio cambiamento del vecchio modello economico aveva bisogno di risorse finanziarie e energie imprenditoriali assai vaste oltreché naturalmente di una nuova cultura d’impresa e dello sviluppo e di un rinnovamento più generale della classe dirigente. 
Regione ed Enti locali in questa fase cercano di attuare quella politica che viene sintetizzata nello slogan “istituzioni per lo sviluppo”. Ma questi sono anche gli anni di una crisi profonda del regionalismo per ragioni interne alle realtà istituzionali e esterne nel rapporto con le altre dimensioni democratico rappresentative dello Stato centrale e sovrannazionale. 
Pesa sui governi locali la scelta operata dai governi nazionali di quegli anni di cancellare ogni strumento di programmazione, mentre cerca di puntare sul cosiddetto “sistema nazione” ritenuto più moderno e efficiente, concentrandosi però soltanto su alcune aree geografiche e produttive già forti. Si punta ad una esasperata finanziarizzazione dell’economia, che concentra risorse e poteri nei pochissimi punti dove si realizzano i mercati finanziari, su un modello chiuso di produttività che porta a nuovi squilibri territoriali e una degradazione dell’ambiente e della società civile, di cui la crisi meridionale, l’inquinamento, l’aumento della criminalità, la conquista dell’informazione da parte di determinati gruppi di potere sono i segni più evidenti. In Umbria invece ci si muove nella direzione contraria puntando ad uno sviluppo locale equilibrato ed armonico che dovrebbe assumere una dimensione strategica nella prospettiva del mercato unico europeo e della crescente internazionalizzazione dei mercati.
Parallelamente a questi fenomeni il sistema politico locale umbro viene via via modificandosi nel corso degli anni Settanta e Ottanta anch’esso segnato dal rafforzamento della presenza dei partiti nelle istituzioni rappresentative, dalla Regione alle Province ai Comuni, come risposta, sia pure inadeguata, ad una più generale crisi della politica, del sindacato e dei partiti.
In quegli anni sulla scia del protagonismo nazionale del Psi, questo partito assume anche in Umbria un peso ed una funzione rilevante soprattutto nella seconda metà degli anni Ottanta, come forza decisiva per costruire un’alleanza con la Dc, in alternativa in alcuni Comuni alle Giunte di sinistra. La tradizionale intesa tra il Pci e il Psi che in alcuni periodi rappresenta il consenso del sessanta per cento degli umbri, entra quindi in crisi per l'ambivalenza o l'equidistanza del Psi dalla Dc e dal Pci. E’ pur vero che queste operazioni si realizzano in alcuni Comuni mentre si conferma sempre l'alleanza alla Regione e nelle due Province.
Ma anche per questo molto spesso è il Pci a pagare il prezzo, con una certa subalternità alle esigenze di visibilità del Psi che d'altronde viene chiamato il cosiddetto “partito dei sindaci e dei presidenti”. 
Non è un caso che nelle elezioni regionali del 6-7 giugno 1990 la sinistra e in particolare il Pci subiscano una forte sconfitta, soprattutto nella realtà ternana dove più dura era stata ed era la crisi economica, la frantumazione sociale e lo strapotere socialista. Di stretta misura si conferma l’alleanza di sinistra alla Regione, nelle due Province e in alcuni dei principali comuni, mentre nell’area Foligno-Spoleto-Valnerina si estende l’alleanza di centrosinistra e in alcuni comuni (Città di Castello, Assisi, Gualdo Tadino) si passa alla collaborazione diretta tra Pci e Dc.
Il Pci tra innovazione e conservazione. Il dibattito sulla svolta dell’Ottantanove del Pci in Umbria si svolge in questo contesto e il confronto contribuisce a risvegliare la discussione dentro il partito seguendo le tendenze generali del dibattito nazionale. 
Dopo l’iniziativa di Achille Occhetto i comunisti umbri si riuniscono dal 1 al 2 dicembre 1989 al Cva di Madonna Alta di Perugia per discutere i contenuti della nuova proposta politica. E’ convocato il Comitato Regionale del Pci congiuntamente ai Comitati Federali di Perugia e di Terni e nel corso del dibattito intervengono cinquantasette dirigenti. I due congressi provinciali di Perugia e Terni del febbraio 1990 riportano le conclusioni del confronto organizzato attraverso le tre mozioni presentate al Comitato Centrale. La discussione molto estesa appassiona l’organizzazione comunista umbra che quasi all’80% decide di dar vita alla nuova formazione politica, il Pds. Si segnala lo scarso successo delle posizioni politiche dei comunisti democratici facenti capo a Pietro Ingrao, nonostante che egli rappresentasse da lungo tempo in Umbria una presenza costante e generalmente apprezzata. 
La svolta del Pci soprattutto in Umbria è tuttavia l’occasione per una verifica delle reali volontà di rinnovamento politico, amministrativo e dei gruppi dirigenti dello stesso partito al governo nelle principali istituzioni ormai ininterrottamente dal dopoguerra. 
Si sviluppa quindi nel Pci umbro e nella società regionale una discussione sulla cosiddetta “riforma della politica” e dei partiti di fronte alla più generale crisi del sistema politico italiano, evidenziato anche da una diffusa 'questione morale', sollevata qualche anno prima dal segretario generale del Pci Enrico Berlinguer. Temi che vengono affrontati prima da un gruppo di giovani dirigenti in un documento del 17 luglio del 1990 e poi, il 21 dicembre dello stesso anno, dalla Direzione regionale del Pci. Inoltre nella fase di passaggio dal Pci al Pds assume particolare rilievo il dibattito sui caratteri che dovrà assumere la cosiddetta “nuova forma partito” ed è pertanto inevitabile che ciò finisca con l'esercitare un ruolo via via sempre più condizionante nella vita interna del partito e dei suoi organismi dirigenti. La struttura organizzativa è da alcuni anni in profonda evoluzione non tanto e non solo nella composizione sociale, quanto nello stesso modo di fare politica e di essere al contempo partito di massa e di opinione in una regione con importanti responsabilità di governo. Nel quinquennio ‘85-90 gli iscritti rimangono pressoché stabili, ma ben pochi risultati ottiene lo sforzo di rinnovamento precisato anche in un Piano triennale di sviluppo e adeguamento del partito 1987-’89 mentre cala in maniera consistente l’impegno a tempo pieno nel lavoro del partito dei militanti e dei cosiddetti rivoluzionari di professione. 
Ed è proprio in questo quadro che al dibattito politico nazionale sulla 'svolta' si lega in Umbria, nel 1991, una discussione per sostituire coloro che guidano la Regione e gli Enti locali in modo che i nuovi rappresentanti fossero omogenei alla nuova maggioranza costituitasi nel partito. Questa discussione porterà, nell’ottobre dello stesso anno, all'avvicendamento del Presidente della Giunta regionale dell'Umbria e alla elezione di un nuovo Segretario Regionale del Pds. Purtuttavia con questi ricambi ai vertici sembrano riproporsi le esperienze non positive già viste in altre fasi e cioè nel 1970, nel 1976 e nel 1987. Tutto infatti avviene, anche nel 1991, con regole e procedure ancora assai poco definite che segnalano forti limiti di trasparenza nella procedura democratica con cui si compiono alcune scelte politico-istituzionali, così rilevanti per l’insieme della società regionale.

III. La crisi del modello umbro e la politica del rinnovamento

Il primo quinquennio degli anni Novanta si caratterizza in Umbria, come d'altronde nel resto d’Italia, per la delegittimazione di gran parte della classe dirigente di governo e di opposizione e per l’avvio di una nuova fase politica pur incerta e contraddittoria. Alla crisi del modello economico che aveva investito la regione negli anni Ottanta si lega la crisi di autorevolezza e di rappresentanza di una intera classe dirigente che con questo modello di sviluppo si era identificata.
Anche in Umbria sono le indagini della magistratura, anche se non così diffuse come in altre realtà del Paese e purtuttavia devastanti nella realtà ternana, a rendere evidente una situazione in cui i diversi filoni di inchiesta mettono in luce una certa commistione tra affari e politica o meglio tra alcuni settori politici e alcuni gruppi imprenditoriali in particolare nel settore dell’edilizia e dei lavori pubblici. Sono infatti le indagini sul consistente flusso di spesa pubblica presente in Umbria per varie e diverse opere viarie e infrastrutturali che ci segnala il rapporto tra il sostegno politico agli appalti e il finanziamento pubblico ai partiti e in qualche caso anche ai singoli dirigenti di partito o ai funzionari della pubblica amministrazione o ai liberi professionisti.
La tangentopoli umbra, il caso ternano. La tangentopoli umbra, da non sottovalutare anche per il numero di inquisiti, non è quindi solo una questione giudiziaria. E’ stata invece, una questione soprattutto politica, perché ha coinvolto fatti e persone che di un certo uso e abuso del flusso della spesa statale, avevano fatto la risorsa fondamentale, per sostenere un certo modello di sviluppo, caratterizzato da un diffuso sistema infrastrutturale, considerato la priorità imprescindibile per la crescita e la modernizzazione della regione. Ecco perché una parte molto larga della sinistra umbra, dopo anni di discussioni pubbliche e conflitti interni rispose, alla metà degli anni Novanta, con l’avvio di una nuova stagione politico-progettuale e con l’impegno di una nuova classe dirigente nell’azione di governo L’esigenza di una rottura e della discontinuità, a metà degli anni Novanta, non si basava infatti su un’analisi congiunturale, o sulla necessità di dare una risposta, alla pur importante questione morale, ma sulla volontà di dar vita ad una “nuova idea dell’Umbria” e del suo sviluppo. Con ciò si intendeva affermare un “progetto di modernizzazione” in una piccola regione nell’era della globalizzazione. 
D’altronde, l’insieme delle vicende giudiziarie che sul piano politico coinvolgono in particolare i dirigenti del Psi e del Pci, ma anche alcuni dirigenti Dc nelle due Università e una certa componente del ceto imprenditoriale, mettono in evidenza una più generale crisi rappresentativa della classe dirigente che non tarda a riversarsi nelle istituzioni. 
La crisi delle istituzioni. In particolare nella vita del Consiglio e della Giunta Regionale dell’Umbria oltreché al Comune di Terni dove si è costretti a sciogliere l’Assemblea consiliare e a convocare anticipatamente il voto per il rinnovo del Consiglio proprio a seguito delle indagini della magistratura che coinvolgono anche il Sindaco. Ed è proprio nella città di Terni che all’indomani delle consultazioni amministrative anticipate del 1993, viene eletto per la prima volta, a testimonianza della gravità della crisi della sinistra, un sindaco di centrodestra. Contestualmente alla Regione dell’Umbria la crisi della maggioranza di sinistra si manifesta a seguito degli arresti o la messa sotto inchiesta di diversi assessori e consiglieri regionali. Il Presidente della giunta Regionale tenta allora, per evitare lo scioglimento anticipato del Consiglio Regionale, la costituzione di una nuova maggioranza coinvolgendo anche la Dc, tradizionalmente forza di opposizione in Umbria. Questa iniziativa cerca di dare un’amministrazione stabile alla Regione in un momento difficile ma mette in discussione i tradizionali ruoli delle forze politiche di maggioranza e opposizione in Umbria .Tutto ciò per varie ragioni, non ultime quelle legate alla iniziativa di una trasparente battaglia anticonsociativa condotta dal Pds, portò al fallimento di questo progetto. Proprio questo partito non fu d’accordo con la scelta proposta dal Presidente della Regione e l’intesa non si realizzò. Il Presidente della Regione, con grande senso di responsabilità e dignità, si dimise nel maggio 1993 mentre la Regione si diede una Giunta monocolore Pds, con il sostegno esterno dei consiglieri di Rifondazione e del Psi e con un nuovo Presidente garante di un diverso accordo politico e programmatico. 
Questa vicenda mise comunque in evidenza la difficoltà di un’alleanza politica e sociale che entrava emblematicamente in crisi nella massima assemblea elettiva e legislativa dell’Umbria mentre appena un anno prima nel 1992 si erano tenute le ultime elezioni politiche con la vecchia legge di tipo proporzionalistico e la sinistra nel suo insieme aveva sostanzialmente consolidato la propria forza elettorale con il Pds al 30,1%, il Prc al 10,1% e il Psi al 14,9%, i Verdi al 2,2%.
Una dopo l’altra si susseguono intanto diverse consultazioni elettorali e il 6 giugno 1993 si sperimenta per la prima volta anche in Umbria l’elezione diretta dei Sindaci in importanti comuni come Terni, Città di Castello, Gubbio, Assisi, Nocera, Trevi, Bevagna. Le nuove coalizioni e i nuovi candidati del centrosinistra si affermano in tutti i Comuni ad eccezione di Terni e si avvia così una nuova stagione con altrettanti protagonisti politici istituzionali, che naturalmente hanno una maggiore autorevolezza e forza rappresentativa la quale conferisce una certastabilità a tutte le amministrazioni. Gli effetti di queste nuove leggi elettorali di tipo maggioritario si sentono poi appena un anno dopo, il 27 marzo 1994, quando anche in Umbria si torna a votare per eleggere i rappresentanti della Camera e del Senato nei collegi uninominali. Quasi tutti i candidati di centrosinistra vengono rinnovati con complesse discussioni al cosiddetto Tavolo Regionale dei Progressisti, richiesto dalle caratteristiche della nuova legge elettorale. L’Umbria nel 1994 di fronte alla sconfitta nazionale del centrosinistra si segnala invece alle elezioni politiche per una netta affermazione di questo schieramento e dei suoi candidati e il Pds in particolare si attesta al 35,8% guadagnando quasi sei punti sul voto di due anni prima. Rifondazione accusa un lieve calo, i Verdi mantengono un 2,4% e il dato più rilevante è la quasi scomparsa del Psi che dal quindici per cento scende al 2,7%. Pochi mesi dopo alle elezioni europee del 12 giugno 1994 anche in Umbria si avvia il consolidamento di Forza Italia, ma il Pds conferma sostanzialmente intatta la sua forza.
Il ruolo della Massoneria e la trasparenza dei poteri. C’è da segnalare poi che accanto al voto politico ed europeo nel 1994 si tengono anche le elezioni anticipate per il rinnovo dei Consigli Comunali di Todi, Narni ed Amelia. L’assemblea rappresentativa tuderte e quella perugina erano entrate in crisi allorché vennero pubblicati gli iscritti alle logge massoniche umbre tra i quali risultarono presenti molti amministratori pubblici e in particolare i sindaci di Todi e di Perugia. Infatti a partire dal dicembre 1993, mentre sono in corso le indagini della magistratura sulla corruzione in tutta Italia e il sistema politico è in piena crisi, in Umbria per iniziativa di alcuni esponenti del gruppo politico “La Rete”, vengono resi pubblici gli iscritti, o almeno una parte significativa dì essi, alle Logge Massoniche esistenti a Perugia e nella regione, una tra le realtà più consistenti del paese. Si sviluppa immediatamente un dibattito molto vivace nell'opinione pubblica e nel sistema politico locale, con decine e decine di prese di posizione e i dirigenti della Massoneria difendono il diritto alla riservatezza, prendendo le distanze dalle degenerazioni della Loggia P2 di Licio Gelli. Ma il conflitto diventa aspro in particolare nelle istituzioni democratico-rappresentative laddove alcuni esponenti della Massoneria hanno responsabilità di governo e perciò vengono considerati incompatibili con la carica pubblica, come succede al Comune di Perugia e in quello di Todi. Qui il sindaco si dimette e si va al rinnovo anticipato del Consiglio comunale. Dal confronto alla luce del sole che si sviluppa tra la sinistra e la massoneria emerge l'esigenza di rendere sempre più trasparenti, democratiche e meno trasversali le attività dei diversi poteri che vanno ad influire concretamente sulla vita e i diritti democratici dei cittadini. L’appartenenza ad una associazione segreta o riservata tramite specifico giuramento come richiede la Massoneria, viene ritenuta incompatibile con la carica di sindaco o amministratore pubblico, necessariamente e doverosamente impegnato nella difesa dell’interesse generale e non di particolari gruppi di potere. E’ così che a Todi si apre la crisi, si scioglie il Consiglio, si torna a votare e viene eletto un nuovo sindaco, l’ex segretario regionale della Cisl, alla testa di una nuova coalizione di centrosinistra.
Questo insieme di competizioni elettorali svoltesi tra il 1992 e il 1994 segnarono la nascita e la crescita di un nuovo schieramento politico quello di centrosinistra che nelle elezioni comunali, provinciali, ma soprattutto nelle regionali del 22 aprile 1995 trova il primo importante banco di prova. Le leggi elettorali del 1993, l’una sulla elezione diretta dei sindaci e l’altra di tipo maggioritario per le elezioni politiche cambiano l’organizzazione dell’intero panorama politico italiano con la progressiva affermazione di due soli schieramenti politici. 
L’alternativa possibile della destra. In questi anni è allora anche il centrodestra in Umbria ad avere un’importante occasione per avviare una politica alternativa al centrosinistra anche nel governo locale. Con il candidato sindaco Gianfranco Ciaurro il Polo delle libertà in Umbria, nel 1993, vince per la prima volta dal dopoguerra, la competizione elettorale al Comune di Terni, sia pure per pochi voti e al ballottaggio, dopo il commissariamento e lo scioglimento dell’intero Consiglio Comunale. L’esperienza Ciaurro può rappresentare un modello alternativo al governo del centrosinistra in Umbria, proprio quando Berlusconi è al governo del Paese e la sua marcia sembra inarrestabile.
Si apre quindi per il centrosinistra una importante sfida con il centrodestra, accentuata anche dal carattere bipolare della nuova legge elettorale.
E’ proprio in questo contesto umbro e in sintonia con il movimento di rinnovamento e ricambio nel sistema politico nazionale perseguito anche dalla nuova destra, che il gruppo dirigente regionale del centrosinistra decide di prepararsi ad una nuova ed importante consultazione elettorale, quella del 1995, all’insegna di una politica di rinnovamento con nuovi candidati, nuovi schieramenti e nuovi programmi di modernizzazione della realtà regionale.
Cosciente dei caratteri di questa nuova situazione, determinatasi in pochi mesi, il gruppo dirigente del Pds, già nel luglio 1993, tiene alla Sala dei Notari, a Perugia, un’Assemblea Regionale sulla forma-partito e per la riforma della politica che punta a definire i caratteri di una organizzazione politica dentro la logica del sistema elettorale maggioritario alla quale partecipa lo stesso segretario nazionale del Pds Achille Occhetto. Una spinta verso questa nuova prospettiva era venuta dall’elezione dei nuovi organismi dirigenti, nell’ottobre 1992, dopo le dimissioni del Segretario della Federazione Provinciale del Pds di Perugia, allorché viene eletto un nuovo segretario provinciale con una procedura innovativa che vede per la prima volta scegliere, a Perugia e a Bologna, un segretario con il voto segreto e con candidature contrapposte. Lo stesso metodo si ripeterà negli anni successivi. 
Non si batte la nuova destra con la vecchia sinistra. La proposta del Congresso Regionale straordinario. Con una nuova generazione di dirigenti e in un diverso clima politico prende corpo un nuovo progetto politico del Pds dell’Umbria come “partito dei cittadini e non del potere locale, geloso della sua autonomia dalle istituzioni e dalle forze sociali impegnato a modernizzare la realtà economico-sociale dell’Umbria”. L’obiettivo è quello di realizzare una profonda riforma sociale e democratica della regione per rilanciare crescita e sviluppo dopo la crisi di un modello che ha segnato pur positivamente l’identità delle regione per un lungo periodo. Alla realizzazione di questo progetto è sottesa peraltro una convinzione politica secondo cui anche e soprattutto in Umbria non si batterà la nuova destra riproponendo le idee della vecchia sinistra. Per questo si avvia un profondo lavoro di rifedinizione della piattaforma programmatica del partito con l’obiettivo di costruire una “nuova idea dell’Umbria nell’Italia centrale e per realizzare una moderna regione d’Europa”. E’ così che tra il settembre e il dicembre 1994 si tengono otto convegni in otto città umbre su altrettanti temi e questioni considerati centrali per il nuovo sviluppo e la modernizzazione della regione.
L’approdo di questo percorso politico e programmatico è il primo Congresso regionale straordinario del Pds tenutosi dal 3 al 5 marzo 1995 all’Hotel Quattrotorri a Perugia e che viene concluso dal Segretario nazionale del Pds Massimo D’Alema. In tre intensi giorni di discussione si afferma una piattaforma che prospetta una “nuova idea dello sviluppo dell’Umbria” basata anche su una linea di rinnovamento delle classi dirigenti per la modernizzazione della regione e il tutto avviene a meno di due mesi dal voto amministrativo per il rinnovo dei vertici della Regione, delle Province e dei Comuni. Contrasti e tensioni polemiche segnano il Pds, ma le scelte che propone il nuovo gruppo dirigente troveranno il consenso dell’elettorato, dopo che il Pds e la coalizione avevano deciso di procedere verso un rinnovamento dei principali livelli politico istituzionali in vista delle elezioni dell’aprile 1995.
Si arriva a questa consultazione con una coalizione molto larga, forse la più estesa del paese che va dal Ppi a Rifondazione e che si presenta agli elettori con candidati Sindaci e Presidenti all’insegna della discontinuità con le precedenti esperienze politico-amministrative. Vengono così proposti alle principali cariche nel governo locale molti rappresentanti della “società civile” ed inizia la cosiddetta “stagione dei professori”. Figure professonali, che pur non essendo estranee, sono comunque fuori dall’impegno politico diretto, ma proprio per questo vengono candidate tra l’altro alla guida della Regione, del Comune di Perugia, della Provincia di Terni, del Comune di Spoleto. In coerenza con queste scelte vengono rinnovati anche molti sindaci e amministratori dei principali comuni della regione. Il voto regionale e amministrativo del 22 aprile 1995 segna comunque una positiva affermazione del Pds e della coalizione che in particolare alle regionali ottiene il 38,6%, più del Pci al 38,4% nel 1990 con in mezzo una fase politica molto difficile come la scissione di Rifondazione la quale conseguiva ugualmente una buona affermazione con l’11% dei voti, i laburisti il 2%, il Patto dei Democratici il 3,8% mentre i Verdi sono all’1,9%. Influisce naturalmente sull’esito del voto anche l’inaffidabilità politica della classe dirigente del centrodestra umbro e il buon governo di molte amministrazioni del centrosinistra. L’impressione comunque è che la politica di rinnovamento del Pds e del centrosinistra venga apprezzata nel suo insieme dall’elettorato suscitando attese e scelte riformatrici.
Per il rinnovamento delle classi dirigenti. Questa politica di rinnovamento nel sistema politico-amministrativo rappresentava una sfida ed una sollecitazione per un più generale rinnovamento delle classi dirigenti della regione nei diversi centri di potere e di gestione, dalle Banche, all’Università, dalle associazioni di imprese al movimento sindacale. Una scelta, quello del Pds e del centrosinistra che si basava sull’analisi della nuova fase politica dell’Italia e dell’Umbria dove per realizzare un vero processo di modernizzazione aveva bisogno innanzitutto di nuove classi dirigenti che lo promuovessero, lo sostenessero e lo realizzassero.
Sia avvia così una nuova fase politica nella vita del partito, della coalizione e della società regionale che non mancherà di produrre effetti positivi, ma anche alcuni risultati contraddittori e negativi negli anni successivi in un quadro nazionale che si va rapidamente modificando.
Se poi l’esperienza della nuova classe dirigente non è stata certamente del tutto positiva e ha tradito le aspettative nell’avviare un’inversione di tendenza nelle tradizionali politiche di sviluppo, tutto questo non può essere liquidato come superficialità e strumentalità. La realtà è stata un po’ più complessa di quanto qualcuno oggi sostiene. D’altronde, una volta evidenziatasi l’inadeguatezza politica che caratterizzò quella stagione, con il protagonismo diretto della “società civile”, come si scrisse allora, si è avuta la forza e il coraggio di prenderne atto e in occasione delle successive consultazioni sono state proposte al giudizio degli elettori, altre personalità politico-amministrative, che pur non rinnegando l’esigenza della modernizzazione dell’Umbria, potessero avere più esperienza di governo e una maggiore capacità di rappresentanza popolare.


IV. Novità e continuità, la difficile modernizzazione dell’Umbria

Nel quinquennio 1995-2000 si sperimenta anche in Umbria una fase politica nuova e coalizioni di governo del centrosinistra a livello regionale, si confrontano, a differenza del passato, con l’attività di un governo nazionale che condivide gli stessi indirizzi programmatici. Per la prima volta c'è una sostanziale omogeneità politica tra i diversi livelli di governo.
Può essere un’occasione, non per instaurare un particolare rapporto privilegiato tra governo centrale e regionale, ma per vedere affrontati e risolti, con maggiore impegno, i diversi problemi dell’Umbria che ritardano lo sviluppo e la crescita del suo assetto economico e sociale. D'altronde nella prima metà degli anni Novanta non si era di certo irrobustita la struttura produttiva della regione che continuava a soffrire di un doppio dualismo e uno squilibrio sia territoriale che settoriale. Di fronte a questa situazione, le istituzioni democratico-rappresentative cercarono di fare la loro parte puntando anche su una loro “autoriforma” negli anni della crisi del regionalismo e per contribuire alla crescita della regione e ai processi di partecipazione democratica.
Il progetto della Regione leggera. Alla prova del governo erano d'altronde una nuova leva di amministratori, tra cui i nuovi rappresentanti della società civile. In particolare nel 1995 alla Regione dell'Umbria, l'elezione del nuovo presidente della Giunta, assieme a quella del nuovo sindaco di Perugia, avevano inaugurato la cosiddetta “stagione dei professori”, mentre contestualmente era andato avanti un processo di rinnovamento dei vertici delle principali istituzioni rappresentative dell'Umbria. D'altronde già nelle elezioni politiche del 1994 si era provveduto ad un radicale avvicendamento della rappresentanza parlamentare sia alla Camera che al Senato, eleggendo una nuova generazione di dirigenti che poi verrà riconfermata nelle elezioni politiche del 1996.
In particolare alla Regione il nuovo Presidente riproponendo in chiave umbra il progetto dello “Stato leggero” auspicato da Romano Prodi intende lavorare per una “regione leggera” secondo un’ispirazione politica federalista come evoluzione del rapporto dello Stato centrale con le autonomie locali. Un’evoluzione che sarebbe dovuta andare oltre l’esperienza regionalista, peraltro vissuta da una parte della sinistra umbra come “gestione locale del potere” in alternativa a quello nazionale. La prospettiva federalista doveva puntare alla semplificazione burocratica, alla riduzione degli apparati, al contenimento di un certo dirigismo, al governo territoriale concertato dei sistemi complessi proprio nell’epoca della crescente globalizzazione puntando su un progetto di sviluppo interregionale tra Umbria, Marche, Lazio, Toscana e Abruzzo al fine di costruire, quella “massa critica” di risorse e risultati, per poter competere nel mercato internazionale. 
Questo progetto politico di rinnovamento delle istituzioni e della loro politica per una effettiva modernizzazione della Regione non riesce tuttavia a conseguire risultati apprezzabili per tante e diverse ragioni, non escluso un certo difetto “illuminista” o “istituzionalista” nel perseguire gli obiettivi, peraltro contrastati anche da uno strisciante conservatorismo diffuso a tutti i livelli della società regionale. 
Una nuova idea dell’Umbria, la funzione autonoma del partito. Il Pds dell’Umbria si mette comunque alla testa di questo rinnovamento al punto che dal 28 al 29 giugno del 1996 tiene la I Assemblea Programmatica regionale, dove con i diversi rappresentanti del primo governo nazionale di centrosinistra cerca di raccogliere la sfida riformista di cui il paese e l’Umbria avevano bisogno. “I Protagonisti nell'Italia che cambia, dall'Umbria un'alleanza politica e sociale per l’innovazione e lo sviluppo, in un nuovo rapporto tra pubblico e privato” è il titolo di questo convegno con il quale si tenta di rilanciare i temi della modernizzazione dell'Umbria, dopo la crisi del suo modello di sviluppo.
Una linea ed un progetto che viene puntualizzato l 'anno successivo nel 1997, durante il II Congresso regionale del PDS e poi nel corso dell’Assemblea congressuale dei Ds dell’aprile 1998. I drammatici eventi sismici del 27 settembre 1997 impongono una ridefinizione delle priorità programmatiche, ma offrono una grande opportunità e si punta così a realizzare l'opera di ricostruzione con l'obiettivo di potenziare e qualificare l'insieme del sistema produttivo umbro storicamente caratterizzato da squilibri territoriali e settoriali. Nel 1999 poi, lo svolgimento del I Congresso regionale dei Ds dal 17 al 19 dicembre, alla vigilia delle elezioni regionali e appena dopo lo svolgimento delle elezioni comunali e provinciali, è l 'occasione per ridefinire la piattaforma programmatica evidenziando come sia sempre più urgente realizzare concretamente il progetto di reale modernizzazione della regione non puntando esclusivamente sul sostegno pubblico dello sviluppo.
Successivamente, alla vigilia delle elezioni politiche del 2001 si tiene una nuova Conferenza programmatica regionale dei Ds dal 6 al 7 aprile nel corso della quale si fa il punto su alcuni primi risultati acquisiti, mentre moltissimi problemi rimangono ancora aperti. Un filo rosso lega questi appuntamenti del principale partito della sinistra e della coalizione che in questi anni affronta anche con risultati alterni, ma certamente abbastanza positivi in un contesto nazionale difficile, le diverse competizioni elettorali. 
Innanzitutto le elezioni politiche del 1996 che attestano il Pds al 33,4% rieleggendo tutti i candidati dell’Ulivo, in gran parte quelli già proposti ed eletti per la prima volta nelle precedenti elezioni del 1994. L’anno dopo nel 1997 si affronta un altro turno di elezioni amministrative, il 27 aprile nei Comuni di Terni, Gubbio, Assisi, Città di Castello, Trevi, Bevagna, Nocera, Valtopina, Valfabbrica con risultati alterni proprio perché si esce sconfitti dalla competizione di Terni, Assisi, Nocera e Valfabbrica e con qualche difficoltà si vince nelle altre. Il 24 maggio del 1998 si svolge poi un altro test amministrativo che interessa tra gli altri i comuni di Narni, Todi, Deruta, ma in questo caso i risultati sono particolarmente positivi. In entrambe le consultazioni accanto a risultati positivi sembrano delinearsi problemi particolarmente seri per il centro sinistra che tra l’altro risulta sconfitto in un voto amministrativo nazionale, il quale mette in discussione l’insediamento tradizionale della sinistra oltreché in Umbria anche in Emilia Romagna e in Toscana, con i casi clamorosi ed emblematici di Bologna e di Arezzo.
Ma è il 1999 l'anno della prima reale verifica del lavoro svolto dai nuovi dirigenti politico-amministrativi proprio perché gli elettori sono chiamati a rinnovare quasi tutti i Consigli comunali compreso quello di Terni sciolto anticipatamente per i contrasti interni del centrodestra e i due Consigli provinciali dell'Umbria, appena pochi mesi prima della elezione del nuovo Consiglio regionale che si terrà nella primavera del 2000 e delle elezioni politiche del 2001.
L’economia umbra, tra crisi e nuovo sviluppo. Intanto in questi anni sul piano economico e sociale, gli effetti del processo di deindustrializzazione venivano solo in parte attenuati dalla crescita di un sistema di imprese piccole e medie nuove e competitive.
Rimanevano i problemi legati alla arretratezza del sistema infrastrutturale e dei collegamenti materiali e immateriali, mentre persisteva un sistema bancario scarsamente innovativo che non incentivava come sarebbe stato necessario, lo sviluppo imprenditoriale. Assieme a ciò permaneva uno scarso dinamismo imprenditoriale, poco propenso al rischio di impresa, una scarsa efficienza della pubblica amministrazione e una perdurante inadeguatezza del sistema formativo.
Dopo due anni di crescita del Pil, nel 1996 e 1997, a fine 1998 anche per effetto del terremoto, nei due anni successivi il prodotto interno lordo non riuscirà a crescere più della media nazionale. Il rallentamento della crescita si conferma via via nel tempo di fronte all'aumentata concorrenza internazionale soprattutto quella asiatica, che mette a dura prova le aziende umbre, meno competitive, che lavorano con margini ridotti. La situazione non era diversa sia per le attività legate alla siderurgia nel comprensorio ternano, mentre venivano colpite dal calo degli ordinativi, anche settori come il tessile, l'alimentare o la meccanica, tradizionalmente più aggressivi.
Incide poi l'eccessiva frammentazione delle imprese e le loro specifiche caratteristiche.
D'altronde le dimensioni, piccole o medio piccole (il 75% delle imprese ha meno di 10 addetti), e la scarsa vocazione a realizzare sistemi produttivi "a rete", o distretti industriali veri e propri, rendono l'economia dell'Umbria fortemente esposta ai rischi della congiuntura. Si attende inutilmente l'effetto positivo degli incentivi provenienti dalla ricostruzione post terremoto, dalla Intesa Istituzionale di Programma con il Governo dei Fondi Europei e dei Fondi per il Giubileo 2000. Tutte quote ingenti di finanziamento ma che sembrano produrre risultati del tutto irrilevanti ai fini dei mutamenti strutturali nell’economia umbra. Migliaia di miliardi negli anni, oltre a ridare la casa ai cittadini terremotati potevano ridisegnare l'assetto produttivo del territorio e rilanciare una politica di innovazioni tecnologiche per innalzare la qualità sistemica della Regione. Ma questi effetti non si riscontrano anzi cala l'occupazione e l’occasione della ricostruzione post-terremoto si perde. Viene meno infatti la possibilità di orientare i flussi di risorse finanziarie al raggiungimento degli obiettivi per risolvere gli squilibri e i ritardi economici preesistenti al terremoto del settembre 1997. La spesa per la ricostruzione infatti, per il suo carattere di straordinarietà, per la natura delle attività coinvolte e per il tipo di opere da realizzare, non poteva da sola indurre quei mutamenti sostanziali del sistema economico tali da prefigurare una nuova fase di sviluppo. Anzi, se non adeguatamente governata e supportata poteva addirittura favorire l'emergere di ulteriori distorsioni territoriali, produttive, sociali e nel mercato del lavoro. E almeno in parte ciò che si paventava con preoccupazione è avvenuto. Ma il limite più serio è stata la mancanza di politiche integrate che assieme a quelle per la ricostruzione intervenissero unitariamente ad alcuni settori produttivi e in alcune aree territoriali. 
Il conflitto tra partito e istituzioni. In Umbria la nuova fase politica apertasi con l’avvio nel 1999 del Congresso nazionale e regionale Ds è scandita dal II Congresso regionale del Pds (preceduto dall'Assemblea regionale di Città della Pieve dei vari gruppi e movimenti, tenutasi il 30gennaio 1997) che si svolge in due fasi: la prima a Terni, il 7 e 8 febbraio la seconda a Perugia, il 14 e 15 marzo 1997. Faranno seguito due Assemblee regionali per la costruzione del nuovo partito della sinistra che si tengono il 2 ottobre e il 13 dicembre 1997 a Perugia. Successivamente, dopo l'Assemblea Nazionale degli Stati Generali di Firenze, si svolgerà l'Assemblea congressuale regionale di fondazione dei Democratici di Sinistra dell'Umbria, che sì terrà a Perugia dal 3 al 4 aprile 1998, riunione che darà vita al nuovo partito adottando un nuovo nome, un nuovo simbolo e nuovi organismi dirigenti anche in Umbria.
Nel corso di questo confronto si tengono appuntamenti elettorali amministrativi significativi in diversi importanti Comuni, e un confronto particolarmente vivace sulla efficacia riformista e riformatrice della sinistra laddove è forza di governo, come alla Regione Umbra. Intrecciata con questa discussione si sviluppa un dibattito lacerante sul “modo di dirigere il partito” e sulle prospettive di sviluppo dell'insieme del gruppo dirigente in Umbria. Luogo di questo particolare confronto è il II Congresso regionale del PDS allorquando si discute per l'elezione del nuovo Segretario regionale e alla candidatura dell’ uscente si contrappone all’ultimo momento utile, quella di un altro candidato che non verrà comunque eletto. Dopo questa fase il processo di costruzione del nuovo partito prosegue con l'Assemblea regionale del 3-4 aprile 1998 e successivamente con il I Congresso regionale dei Ds che si tiene a Perugia dal 17 al 19 dicembre 1999.
E tutto ciò avviene alla vigilia di un triennio elettorale anche per l’Umbria molto impegnativo il cui primo appuntamento è proprio l’anno successivo il 1999 con il voto per l'elezione del Parlamento europeo e quello amministrativo in quasi tutti i comuni e nelle due province dell’Umbria.
Come è naturale alla vigilia di questi appuntamenti si sviluppa nei Ds e all’interno dello schieramento di centrosinistra una discussione molto complessa, date anche le caratteristiche delle nuove leggi elettorali e si punta ad arrivare alla competizione con le coalizioni più larghe possibili, con consuntivi di buongoverno, programmi di modernizzazione e con candidati autorevoli e rappresentativi. Su questi ultimi si discute molto anche perché, in particolare nelle elezioni comunali la figura del candidato sindaco assume un rilievo ed un peso notevole. E proprio in Umbria, dove i Ds sono di gran lunga il partito di maggioranza relativa, in moltissimi comuni, ai dirigenti dei Ds pare opportuno avere candidati sindaci espressione del proprio partito, non foss’altro per mobilitare adeguatamente la principale e più rappresentativa organizzazione politica dello schieramento. Nascono polemiche nella coalizione sulla presunta egemonia dei Ds, ma il risultato del voto amministrativo del 13 e 27 giugno 1999 mette fine ad ogni discussione proprio perché il centrosinistra vince quasi dappertutto esprimendo addirittura 72 sindaci su 92 comuni di cui 61 espressione dei Ds. 
Oltre i professori e le resistenze al cambiamento. Una dimensione particolare assume alla vigilia di queste consultazioni la discussione sui candidati sindaci nei comuni di Perugia e Spoleto e per i candidati presidenti delle due Province di Perugia e Terni. Nuove candidature vengono proposte per conto della coalizione anche da due formazioni politiche minori, lo Sdi e il Ppi al fine di costruire negli appuntamenti elettorali successivi del 2000 e del 2001 un equilibrio pluralista per uno schieramento molto composito. Si tratta infatti di una coalizione che non è inutile sottolineare in Umbria in tutte le principali competizioni elettorali amministrative e regionali fin dal 1995 e via via nel corso degli anni aggrega al suo interno più di dieci partiti o soggetti politici che vanno dall'Udeur, dal Ppi a Rifondazione, ai Comunisti Italiani, passando per i Ds, lo Sdi, il Ppi, i liberaldemocratici e i Democratici di Prodi. L'unità politica e programmatica di questo insieme di forze rappresenta una risorsa politica ed elettorale importante e molto spesso è alla base delle positive affermazioni elettorali in comuni importanti e financo nelle province e alla Regione. Tuttavia nella sostituzione o meglio nella non ricandidatura dei due sindaci uscenti di Perugia e Spoleto (espressione non diretta del sistema dei partiti o del ceto politico), si intravede la fine o meglio l’inizio della cosiddetta fine della “stagione dei professori”. D'altronde l’anno successivo alle elezioni regionali del 16 aprile 2000 la sostituzione del Presidente uscente della Giunta regionale, ripropone le stesse questioni, con in più la contraddittoria riconferma di quasi tutti i consiglieri regionali uscenti. Le valutazioni su questi eventi sono diverse all’interno dei Ds e della coalizione, ma alla fine a larga maggioranza viene scelta la strada dell’avvicendamento alla guida della Regione nel 2000 proponendo un nuovo candidato Presidente sostenuto da una coalizione molto larga e un progetto di riforme e modernizzazione che ha consentito una positiva affermazione elettorale in Umbria, in un contesto nazionale particolarmente difficile.
Ugualmente contrastata poi la scelta l’anno successivo per la composizione della lista dei candidati alle elezioni politiche del 13 maggio 2001. Anche in questo caso si confrontarono due posizioni. Una che puntava a ricandidare l’insieme del gruppo parlamentare umbro, pur se aveva compiuto due mandati e un’altra che seguiva il criterio adottato l’anno prima per le elezioni regionali dove non vennero ricandidati coloro che avevano svolto appunto due mandati. Su questa discussione intervenne la segreteria nazionale dei Ds che, suscitando non pochi dissensi nel gruppo dirigente del partito umbro, propose una soluzione intermedia usando pesi e misure diversi con i vari deputati uscenti. La conclusione fu che si andò ad un totale rinnovamento con una sola eccezione. 
Purtuttavia lo sviluppo dell’insieme del gruppo dirigente del Pds e dei Ds in questi anni trova una sua stabilizzazione dopo lunghe discussioni, confronti e conflitti. L’andamento poi del voto del 13 maggio 2001 segnala anche in Umbria un netto calo dei Ds che scendono dal 33.2% del Pds del 1996 aòl 25,9% con una flessione superiore a quella che si ha nelle altre regioni rosse anche se il voto in valore assoluto rimane lo stesso ottenuto dai Ds nei tre anni di consultazione dal 1999 al 2001 e cioè sempre quello di circa 150.000 voti. Si apre naturalmente una profonda riflessione anche in Umbria e si sviluppa un dibattito congressuale particolarmente intenso con la partecipazione di quasi cinquemila partecipanti al termine del quale la mozione di Fassino ottiene il 70% dei consensi, quella Berlinguer il 28% e quella Morando il 2%.
Il secondo congresso regionale dei Ds che si tiene a Perugia dal 9 al 10 novembre 2001 in preparazione di quello nazionale di Pesaro conferma l’indirizzo politico nazionale che si andava realizzando e in sostituzione del segretario uscente, eletto alla Camera dei Deputati, viene scelto un nuovo segretario regionale dei Ds dell’Umbria.

 

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