Gian Lupo Osti, un manager per l'Umbria
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"Il Messaggero" - Umbria - 17 ottobre 2012

Quando si ricordano i maggiori esponenti della classe dirigente dell’Umbria spesso prevale una certa “autarchia regionalistica” e quindi si dimenticano coloro che umbri non sono,almeno per nascita ,ma che in tempi e modi diversi hanno sicuramente inciso sullo sviluppo economico e sociale della regione. Tra  questi ci sono in particolare i nomi di tanti tecnici,manager e imprenditori che hanno creato o guidato le aziende pubbliche soprattutto nella realtà industriale ternana.

Senza riandare a personaggi un po’ più lontani nel tempo come Vincenzo Stefano Breda, Luigi Campo Fregoso,Benedetto Brin,Antonio Bosco ci si può limitare al secondo dopoguerra quando sul complesso industriale delle Acciaierie incisero le politiche dell’Iri, della Finsider o dell’Enel enti di stato guidati da personaggi  quali Arturo Bocciardo, Oscar Sinigaglia, Giuseppe Petrilli, Pietro Sette, Ernesto Manuelli,Alberto Capanna, Aldo Maria Angelini  ed altri come Gian Lupo Osti che proprio nei giorni scorsi è scomparso all’età di 92 anni.

Osti è stato una figura singolare nel panorama nazionale dei manager di stato per i suoi molti interessi ,oltre quelli strettamente professionali.

Combattente nella seconda guerra mondiale ed internato in un lager  tedesco  inizia la sua attività di manager con Oscar Sinigaglia, l’autore del piano Finsider per l’acciaio che portò tra l’altro ad una dolorosa ristrutturazione per l’acciaieria ternana a partire dal 1953. Lavorò poi alla Dalmine ,alla Cornigliano e all’Italsider e divenne espressione dell’area intellettuale socialista legata in particolare a Riccardo Lombardi e Giovanni Giolitti che fornì alcuni esponenti  di quella” razza padrona”(in gran parte Dc) che contribuì comunque all’industrializzazione del paese.

Dal 1965 al 1975 ricoprì la carica di amministratore delegato della società Terni ( con Terenzio Malvetani Presidente) in un momento in cui la Acciaierie tentano di entrare nel mercato delle forniture di impianti per il settore elettronucleare ,allora considerato strategico. D’altronde in quegli anni la Terni si componeva di soli tre comparti:fucinatura,fonderia e meccanica;acciaieria e laminazione;carpenteria e condotte forzate e ciò rischiava di marginalizzare il suo ruolo nel  campo della siderurgia nazionale ed internazionale. Il nuovo obiettivo  strategico delle forniture elettronucleari però  per essere realizzato aveva bisogno di una certa autonomia del polo ternano  dal controllo della Finsider e rientrare nella politica più generale delle partecipazioni statali. Ciò non avvenne e pur tuttavia Osti  durante la sua decennale gestione fece significativi investimenti sui treni di laminazione con un progressivo aumento dell’occupazione.

Ma il conflitto con la dirigenza democristiana dell’Iri e della Finsider portò ad una certa penalizzazione dell’industria ternana e la costrinse a finanziare quasi tutti gli investimenti ricorrendo all’indebitamento a breve i cui enormi oneri condizioneranno pesantemente gli equilibri di bilancio degli anni successivi. Le difficoltà finanziarie e la crisi internazionale della siderurgia  porteranno al grande ridimensionamento delle Acciaierie ternane nei primi anni Ottanta.

Gian Lupo Osti lasciò la Terni nel 1976 ma nel periodo in cui diresse le Acciaierie non rimase chiuso all’interno della fabbrica e manifestò anche il suo interesse per il territorio umbro finanziando i “manuali del territorio” un  censimento dei beni culturali delle valli e delle città ternane  diretto da Bruno Toscano.

Ma l’originalità del personaggio accanto all’esperienza manageriale e culturale è data dalla sua speciale competenza e passione per la botanica e in particolare per i fiori, le peonie,le camelie e le orchidee .Si reca  in Cina alla ricerca di una particolare peonia bianca e nera  che entrerà poi in un catalogo ufficiale giapponese,mentre per le sue competenze botaniche riceve un ambito riconoscimento dalla Royal  Horticoltural Society.

Il legame con l’Umbria rimane negli anni e nel 1986 con il suo amico Vittorio Emiliani direttore del Messaggero a bordo di un gommone ridiscende il Tevere partendo dal Monte Fumaiolo e sul giornale descrive  ai lettori la particolare vegetazione che caratterizza le rive di un  fiume ricco di storia.

 

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