"LA RINASCITA DELLA PATRIA"
"Dopo l’8 settembre 1943 la Resistenza armata in Umbria"
di Alberto Stramaccioni
Nell’imminenza dell’8 settembre sono già in cantiere rievocazioni di una data spartiacque della nostra storia nazionale, a 67 anni dagli eventi. L’armistizio dell’Italia con gli angloamericani dopo tre anni di guerra al fianco dei tedeschi è considerato degli alleati come “una resa senza condizioni”. Si poneva fine al regime fascista di Benito Mussolini, destituito dal Re, dopo la notte del 25 luglio, ma non alla guerra che proseguiva in un paese diviso in due, con al Nord la Repubblica di Salò voluta da tedeschi mentre gli alleati guidavano il Regno del Sud dopo la fuga del Re a Brindisi. Con uno Stato disarticolato e diviso, una nazione e un esercito alla sbando e un territorio occupato dai tedeschi e angloamericani in conflitto si è parlato di “morte della patria”. Una interpretazione storica e politica da più parti contrastata con l’argomento che fu proprio dopo l’8 settembre 1943 ad iniziare il processo di “rinascita della patria” grazie soprattutto alla crescente organizzazione del movimento militare e civile di liberazione nazionale dagli occupanti nazifascisti. Tra il settembre 1943 e l’aprile 1945 si dispiega la resistenza militare ed anche se conta tra i duecentomila e i quattrocentomila combattenti si avvale comunque del sostegno di milioni di italiani che considerarono oramai persa la guerra e vogliono solo pace e prosperità.
In Umbria la resistenza armata per liberazione del territorio dall’occupazione nazista e dalla presenza fascista non fu un evento di straordinario valore militare, ma certamente una esperienza di rilevante significato politico e sociale. L’attività politico-militare delle bande e delle brigate partigiane sostenuta direttamente o indirettamente da migliaia di cittadini, insieme all’intervento decisivo delle armate angloamericane, contribuì alla liberazione delle città dell’Umbria dal fascismo, dall’occupazione tedesca avviando la ricostruzione del paese. Un movimento che non durò certamente molto, tra i sette e i dieci mesi, e non mobilitò grandi masse, ma ebbe ugualmente un valore politico di rottura con il regime fascista al punto che rappresentò una svolta anche nella vita democratica della regione tra le più fasciste d’Italia. D’altronde tra il settembre del 1943 e il luglio del 1944 si sviluppò un movimento di liberazione per la fine della guerra, via via crescente, che si tradusse anche in lotta armata a cui parteciparono oltre quattromila combattenti organizzati in venti formazioni partigiane, mentre circa seicento furono i caduti in combattimento o vittime delle rappresaglie. Alcune migliaia di uomini e donne nelle campagne, sui monti e nelle città non solo solidarizzarono con i partigiani, ma provvedevano a proteggerli e a rifornirli di armi, viveri e di assistenza logistica. Il tutto avveniva in un momento di particolare difficoltà economica e sociale con circa centomila sfollati in Umbria alla fine del 1943, dopo i bombardamenti iniziati dal gennaio dello stesso anno.
Il contributo politico militare più significativo alla lotta partigiana in Umbria venne da alcuni comandanti militari che avevano combattuto nell’esercito italiano prima dell’8 settembre (in Jugoslavia e nei balcani contro i partigiani di Tito) e gli stessi partigiani iugoslavi imprigionati o trasferitisi in Italia e in Umbria. Tra i comandanti più noti provenienti dall’esercito regio ci sono Antero Cantarelli che guida la Brigata Garibaldi, Antonio Bonomi comandante della Brigata Gramsci, il capitano Ernesto Melis e Mario Grecchi. Una particolare collaborazione tra esponenti dell’esercito e partigiani si avrà nella formazione della banda Melis, della Brigata Leoni e della San Faustino poi Proletaria d’urto. Ma nella lotta armata per la liberazione dell’Umbria non erano impegnati solo militari o sperimentati militanti antifascisti con alle spalle il carcere o il confino, ma anche alcune particolari figure sociali come quella di un proprietario terriero liberale Bonuccio Bonucci, di un ufficiale dell’esercito, esponente del Partito Popolare come Venanzio Gabriotti, di un moderato liberaldemocratico come Stelio Pierangeli, di un insegnante cresciuto alla scuola di Aldo Capitini come Bruno Enei, di un operaio comunista come Alfredo Filipponi, di due possidenti terrieri come Augusto Del Buontromboni e Luigi Del Sero, fino ad un prete combattente come don Mariano Ceccarelli.
Quello partigiano è in Umbria un movimento fortemente frammentato che in parte si organizza spontaneamente e in parte è diretto da alcuni partiti il Pci, il Psi, il Pd’A., la Dc.
La lotta partigiana si organizza prevalentemente sui monti del Folignate, della Valnerina, dell’eugubino e della zona compresa tra Orvieto e il Trasimeno, lungo quindi la via Flaminia, la umbra casentinese e il perugino.
1. A Terni e nel ternano l’organizzazione del movimento armato è diversa dalle altre città per la presenza attiva di un Cln costituito quasi elusivamente da esponenti del Pci, del Psi e del partito Repubblicano. Nella zona della provincia di Terni operarono varie formazioni partigiane e la più consistente era la formazione garibaldina “Antonio Gramsci”. Sorse ufficialmente nel febbraio 1944 a seguito della riorganizzazione di unità già esistenti (il primo Battaglione costituito, lo “Spartaco Lavagnini”, sorto sin dal novembre 1943, il battaglione “Manni” e i due battaglioni, “Tito 1” e “Tito 2”, formati in prevalenza da ex prigionieri slavi) incrementate dal continuo afflusso di renitenti alla leva, operai e contadini, ex prigionieri di guerra slavi e alleati. Così la Brigata, comandata dal montenegrino Svetozar Lakovic (Toso), con Alfredo Filipponi (Pasquale) come Commissario politico e, a partire dalla primavera del 1944, comandante della stessa, venne strutturandosi in sette Battaglioni (ai quattro iniziali se ne aggiunsero altre tre, “Morbidoni”, “Calcagnetti” e “Cimarelli”), arrivando ad organizzare presumibilmente da 1.000 a 1.500 tra uomini e donne, considerando tutti coloro che nei circa nove mesi di durata della lotta partigiana, permanentemente, saltuariamente e episodicamente, operarono nella formazione ternana. Il movimento partigiano è guidato prevalentemente dai comunisti Alfredo Filipponi e Vincenzo Inches, vi combatterono altri esponenti del Pcd’I come Gino Scaramucci, Germinal Cimarelli, Giuseppe Proietti. Ma anche alcuni popolari come Palinto Chiappini, Filippo Micheli, Arturo Manciati e Antonio Gornero.
2. Nell’Alta Umbria tra Città di Castello e Gubbio operava la Brigata S. Faustino sorta su iniziativa di un nucleo di orientamento liberale guidato dal possidente Bonuccio Bonucci e dall’ufficiale Stelio Pierangeli (Gaves) succeduto dopo l’arresto di Bonucci alla guida della formazione, con il tenente pilota Mario Bonfigli (Mefisto) come vicecomandante e il comunista Dario Taba commissario politico. La Brigata, nel momento di massima espansione suddivisa in quattro Battaglioni (“Bologni”, “Vittorio Veneto”, “Piave”, “Gabriotti”) giunse a mobilitare quasi 500 uomini, rendendosi protagonista di numerose azioni tra cui quella del 22 marzo 1944, la battaglia di Serramaggio, collaborando con le truppe alleate nella liberazione dell’area settentrionale della regione. Alcuni aderenti della brigata parteciparono all’attentato contro due ufficiali tedeschi a Gubbio che poi portò alla rappresaglia dei 40 martiri. La Brigata San Faustino fu diretta anche dal tenente colonnello Venanzio Gabriotti, già segretario provinciale del Partito Popolare ed eroe della prima guerra mondiale e dopo perdite e rastrellamenti, nel maggio 1944 si chiamerà “Proletaria d’urto”, assumendo una più netta caratterizzazione politica. Al suo interno vi erano giovani di diverso orientamento politico e culturale. A Gubbio in particolare operavano i popolari Gaetano e Luigi Salciarini, Amelio Gambini e a Gualdo Tadino il popolare Luigi Cirelli.
3. Nella zona dello spoletino, della Valnerina e del folignate operarono varie formazioni la “Melis” e la “Garibaldi”. A Spoleto e Norcia la banda Melis costituita dal capitano del regio Esercito Ernesto Melis (all’indomani dell’8 settembre ritornato a Spoleto dall’Accademia di fanteria a Modena) e da un gruppo di giovani spoletini, molti dei quali, come i fratelli Alessandro e Antonio Fiorani, erano anch’essi ufficiali. Già dai primi giorni dell’ottobre 1943 poteva contare su oltre cento uomini schierati nella zona di Gavelli in Valnerina. Fu protagonista di azioni contro i tedeschi e i fascisti locali, attività che continuò sino ai primi di novembre, quando a seguito dell’arresto di alcuni familiari dei partigiani da parte delle autorità fasciste, la formazione si sciolse. Molti degli uomini che ne facevano parte, tra essi i prigionieri slavi, si aggregarono alla Brigata garibaldina “Gramsci”, mentre gli altri diedero vita a piccoli gruppi che sarebbero entrati in azione nei giorni immediatamente precedenti all’arrivo degli alleati a Spoleto. A Foligno la Brigata Garibaldi costituita per iniziativa di un gruppo di giovani ufficiali del Regio Esercito di orientamento cattolico, era guidato da Antero Cantarelli, con Fausto Franceschini in qualità di vice comandante e Balilla Morlupo come commissario politico. Nel momento di massima espansione era strutturata in quattro battaglioni (“Franco Ciri”, “Goffredo Mameli”, “Angelo Morlupo”, “Ardito”) e in un nucleo comando, arrivando a mobilitare da 250 a 300 uomini. Nel territorio di Gualdo Tadino agiva inoltre una piccola formazione al comando del tenente Luigi Tittarelli. Inoltre sui monti del folignate e nei monti Martani, nella Brigata Garibaldi assieme al capitano Antero Cantarelli, cattolico, del circolo San Carlo operavano i comunisti Sanzio Pagliocchini, Marcello Formica e Romeo Bocchini ed erano sostenuti anche da Monsignor Luigi Faveri e dallo stesso Benedetto Pasquini, già podestà e sindaco di Foligno proveniente dal partito popolare, poi aderente al regime, successivamente antifascista e poi senatore della Repubblica.
4. Nell’area del perugino operava la Brigata “Francesco Innamorati” il cui primo nucleo “gruppo di Montemalbe” si costituì su impulso del Pci perugino nella zona compresa tra Monte Malbe e Agello, ad ovest del capoluogo umbro, a partire dai primi dell’ottobre 1943. Nel gennaio 1944 si spostò nel territorio di Deruta, dove già operava la Brigata “Leoni”. La Brigata “Innamorati” era guidata dai comunisti Dario Taba, Albero Mancini e Primo Ciabatti; commissario politico era Riccardo Tenerini anch’egli comunista. All’inizio del 1944 raggiunse la massima espansione, arrivando a mobilitare circa duecento uomini. Dopo il rastrellamento subito da parte dei tedeschi e dei fascisti il 6 marzo 1944, la banda venne completamente disarticolata; una parte dei suoi componenti, entrarono a far parte della Brigata “Primo Ciabatti” comandata dal tenente Bonanni, con Mancini commissario politico che collaborerà con la Brigata “Risorgimento” operante sulla costa occidentale del Lago Trasimeno. Di orientamento azionista era invece la Brigata “Leoni”, guidata dal possidente terriero Augusto Del Buontromboni e dall’allievo ufficiale Mario Grecchi, appartenenti al movimento “Giustizia e Libertà”. La Brigata arrivò a mobilitare sessanta uomini, anch’essa però uscì completamente scompaginata dal rastrellamento del 6 marzo, che causò la fucilazione a Perugia da parte dei tedeschi di sette partigiani, tra cui lo stesso Mario Grecchi. Sempre nel perugino operava la Brigata “Monte Tezio” attiva nell’area nord di Perugia tra il gennaio e febbraio 1944, rendendosi responsabile di alcune azioni di sabotaggio, di aiuto e assistenza ai renitenti alla leva e prigionieri alleati, fino a quando alla metà di febbraio si sciolse. La banda “Primo Ciabatti” costituita con una parte di uomini provenienti dalla banda “Monte Tezio”, era operativa a ovest di Perugia, nel territorio compreso tra Panicale, il lago Trasimeno e Tavernelle. Si distinse, soprattutto tra il maggio e il giugno 1944, in una serie di azioni di guerriglia (attacchi a presidi e pattuglie isolate della Gnr e tedesche, requisizioni, assistenza a prigionieri alleati), appoggiando le forze alleate al momento della liberazione del territorio. A Perugia, alla vigilia della liberazione, si cosituì la banda “Mario Grecchi”, i cui componenti avrebbero cercato di contrastare le distruzioni operate dalle retroguardie tedesche in città. Una parte di essi, per circa un mese, combatté poi con gli inglesi sulla linea del fronte. Nella zona del Trasimeno operava la Brigata “Risorgimento” che si costituì ufficialmente il 4 marzo 1944 a seguito del raggruppamento di piccole formazioni (bande di Moiano, Monte Pausillo, Monteleone di Orvieto, Paciano, Panicale, Sanfatucchio-Macchie), operanti autonomamente nella zona sud-occidentale del lago Trasimeno. La Brigata venne divisa in due raggruppamenti, il gruppo “Risorgimento” (comprendente le bande di Moiano, Monte Pausillo e Monteleone di Orvieto) e il gruppo “Gesmundo” (costituito dalla bande di Paciano, Panicale e Sanfatucchio, Macchie). Comandante della Brigata era il tenente Alfio Marchini, mentre Egildo Gatti anch’esso tenente era il vicecomandante, e Solismo Sacco (Sole), il commissario politico.
Un’articolazione diffusa sul territorio quella della organizzazioni militari della resistenza armata in Umbria e molto plurale in quanto a presenze politiche, sociali e civili a testimonianza di una guerra di liberazione combattuta unitariamente che dopo l’8 settembre ha effettivamente avviato “la rinascita della PATRIA.