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Avanzate e blocchi, ritratto dell'Umbria nella storia-biografia delle sue classi dirigenti PDF Stampa E-mail

Nel nuovo volume di Stramaccioni viene esaminato un periodo storico molto ampio: lo sguardo è rivolto su diversi soggetti

"Il Giornale dell'Umbria" - 30 ottobre 2013 [ WEB ] [ PDF ]

Di: Leonardo Varasano

 
Storia delle classi dirigenti in Italia PDF Stampa E-mail

Storia delle classi dirigenti in ItaliaStoria delle classi dirigenti in Italia
L’Umbria dal 1861 al 1992

Edimond – Studi storici, 2012


La storia delle classi dirigenti è espressione di un complesso filone storiografico che richiede l’uso di varie fonti e metodologie e l’integrazione tra diverse discipline storiche e sociali per ricostruire l’attività di un insieme di soggetti individuali e collettivi con responsabilità e poteri nel campo politico, amministrativo, imprenditoriale, bancario, delle professioni, della informazione, della scuola e religioso.
In quest’ottica la pubblicazione evidenzia come in Italia la particolare configurazione del sistema economico-sociale e il processo di formazione dello Stato nazionale abbiano conferito soprattutto al ceto politico espresso dalla borghesia industriale del Nord e da quella agraria del Sud una rilevante funzione dirigente almeno fino alla prima guerra mondiale ed anche nel corso del ventennio fascista, pur nel contesto di uno Stato totalitario. Dopo la seconda guerra mondiale l’affermarsi del sistema democratico e la piena integrazione nel mondo occidentale consentono alla “repubblica dei partiti” di avviare un progressivo ricambio delle classi dirigenti che viene ad allargarsi a nuovi e diversi soggetti politici e sociali frutto della crescita economica e del consolidarsi della società di massa.
In questo quadro il libro esprime la consapevolezza che la storia nazionale è anche storia delle particolarità regionali e locali e quindi propone la ricostruzione della vita delle classi dirigenti nel rapporto tra centro e periferia, tra città e Stato, analizzando l’esperienza di un territorio come quello umbro. Una realtà che sembra prefigurare un modello regionale segnato, soprattutto nel primo cinquantennio, da una organizzazione del potere di tipo prevalentemente oligarchico e poi dal secondo dopoguerra da una nuova classe dirigente a due facce espressione di una diarchia politica, nazionale e locale, caratterizzata da una specie di ideologia regionalistica di tipo neoautarchico, fino alla sua delegittimazione agli inizi degli anni Novanta del Novecento.
La ricostruzione e l’interpretazione storica presente nel volume è sostenuta da un consistente apparato bibliografico, molte note integrative al testo e diversi dati statistici ed elettorali insieme ad oltre trecento schede biografiche che contribuiscono a definire l’identità e l’azione dell’insieme delle classi dirigenti che hanno operato in Umbria.


 
L’Italia e i crimini di guerra 1940-1945 PDF Stampa E-mail

L'Italia e i crimini di guerra

L’Italia e i crimini di guerra 1940-1945
L’occultamento delle stragi nazifasciste e delle rappresaglie in Jugoslavia.
Storie di guerra, resistenza, guerra civile e guerra ai civili in Umbria

Crace, 2012

 

Il volume si inserisce nell'ampia storiografia sui crimini di guerra compiuti nel corso del secondo conflitto mondiale. Il libro evidenzia come il rapporto tra l'Italia e i crimini di guerra sia una questione complessa trattandosi di un paese prima alleato dei vinti e poi dei vincitori: l'esercito italiano , tra il 1940 e il 1943, è infatti considerato responsabile, insieme ai tedeschi, dei numerosi eccidi di civili in Russia, Grecia e soprattutto nei Balcani; ma poi, tra il 1943 e il 1945, quando è cobelligerante con gli angloamericani, lo stesso paese subisce stragi efferate di civili ad opera dei nazifascisti, ma anche degli italiani fascisti impegnati in una sanguinosa guerra civile. Un paese quindi che è considerato autore e vittima dei crimini di guerra al punto da impedirgli di riconoscere le responsabilità dei soldati italiani nei Balcani così come di perseguire i nazifascisti colpevoli delle stragi in Italia. Il volume ricostruisce la storia del lungo occultamento dal 1945 ad oggi attuato dalla magistratura militare e dal potere politico soprattutto negli anni della Guerra Fredda al fine di realizzare una certa idea della pacificazione nazionale.


 
Il Pd dopo le primarie PDF Stampa E-mail
Domenica 09 Dicembre 2012

Dal voto espresso alle elezioni primarie in Umbria ,sia nel primo che nel secondo turno, non sono emerse quelle grandi novità che si è tentato da più parti di mettere in evidenza. Con ciò non si intende attenuare la consistenza di un pronunciamento politico ed elettorale e tantomeno sottovalutare il valore democratico della partecipazione espressa da milioni di cittadini elettori del centrosinistra.

Ma se l’analisi si allarga e non si rimane prigionieri della retorica della democrazia diretta si può ben vedere che anche queste ultime primarie, hanno confermato un orientamento elettorale già manifestatosi nelle precedenti elezioni primarie del 2009 e del 2010 e in quelle svoltesi nei Comuni per la scelta dei candidati sindaco.

Si è confermato cioè un orientamento sicuramente presente anche nelle altre regioni rosse,ma in Umbria è andato assumendo una sua più marcata consistenza. D’altronde già nel 2009 ,poi nel 2010 ed ancora di più oggi nel 2012,una percentuale crescente di cittadini elettori del centrosinistra oscillante intorno alla quota del 40% manifesta la sua critica e insofferenza verso quella classe dirigente che viene identificata più o meno correttamente con un sistema di potere considerato incapace di rinnovarsi e di rispondere adeguatamente ai tanti problemi dei cittadini. E’ questo un dato incontrovertibile che ha segnato dalla nascita la vita del Pd e del centrosinistra anche per l’assenza o la latitanza del centrodestra.

Questo fenomeno ha un suo specifico significato politico in quanto si è manifestato in tutte e tre le ultimi elezioni primarie dove hanno votato 76.000 cittadini nel 2009; 54.000 nel 2010;76.000 nel 2012, consultazioni in cui è verosimile sostenere che almeno il 70- ’80% degli elettori siano stati sempre gli stessi.

Nelle primarie del 2009 con una certa protervia correntizia gli iscritti del Pd vennero chiamati a scegliere il segretario nazionale del partito tra Bersani e Franceschini e quest’ultimo, pur sconfitto raccolse in Umbria il 41% dei consensi contro il 49% e proprio su questo risultato influì sicuramente il conflitto in atto per la scelta del nuovo presidente della Giunta Regionale.

Le primarie del 2010 convocate per decidere il candidato-presidente alla guida della Giunta regionale si svolsero nel contesto di una dura lotta per il potere e il risultato fu analogo con il 46% allo sconfitto e il 54% al vincitore.

 

Oggi nel 2012 addirittura al primo turno Bersani è sconfitto con il 42% e Renzi risulta vincitore con il44%,mentre al secondo prevale Bersani con il 52% e i partecipanti calano di 7.000 unità.

 

Negli anni si conferma quindi l’esistenza di un’area politico- elettorale interna al centrosinistra intorno al 40% che esprime l’antagonismo tra due schieramenti , l’uno guidato sostanzialmente dai grandi elettori ex Pci-Pds-Ds e l’altro dagli ex Dc-Ppi-Margherita con varie eccezioni personali o di gruppo a seconda delle competizioni. Ma questa e null’altro è la vera matrice politica del conflitto di potere all’interno del Pd che si riverbera e si esalta soprattutto nelle primarie ,uno strumento usato troppo spesso per far fronte alla incapacità dei gruppi dirigenti del partito di prendere le decisioni,di fare sintesi politica e programmatica e costruire il vero amalgama del nuovo Partito democratico.

Oltre a questo conflitto naturalmente non si può sottacere che in ogni elezione primaria c’è verosimilmente un 20-30% di cittadini elettori che non sono rappresentabili con questa lettura interna,ma la sostanza non cambia. Tanto più che anche nelle ultime primarie è verosimile pensare che la gran parte dei partecipanti sia stata espressione di quel ceto politico allargato( costituito da molti dipendenti pubblici) che un tempo era la base militante dei vecchi partiti di massa.

 

Già negli anni ottanta del Novecento in Umbria un area politico sociale simile all’attuale, interna e vicina al centrosinistra ,contestava la politica e la classe dirigente dell’allora Pci, partito di maggioranza relativa,ma quel progetto alternativo pur conquistando significativi spazi di potere ( fino ad essere definito il partito dei sindaci e dei presidenti)non portò a nessun cambiamento qualitativo e sostanziale nel governo locale.

 

Oggi è certo difficile anche la sola comparazione con quegli anni ,ma la lotta per il potere andrebbe condotta a testa alta e con progetti politici chiari improntati a serie politiche riformatrici senza investire sulla rendita di posizione dell’antipolitica . Al tempo stesso è necessario dire che la critica al quartier generale(soprattutto da parte di chi è da tempo nello stato maggiore con rilevanti spazi potere) si alimenta anche a causa del l’assenza o della latitanza di un vero confronto politico e di serie decisioni riformatrici

.

Spesso la storia ci ha dimostrato che le lotte di potere portano sicuramente a degli avvicendamenti nell’evoluzione delle classi dirigenti,ma raramente questi avvicendamenti rispondono ad autentici bisogni di cambiamento se non a delle vere proprie regressioni sul piano della competenza e della trasparenza amministrativa. Naturalmente questa considerazione rischia di essere un alibi per tutti coloro ,e non sono pochi anche in Umbria ,che animati da un forte spirito di conservazione pensano che in fondo va tutto bene così,tanto il centrodestra non c’è. Ma fino a quando può durare questo conflitto di potere in assenza di chiare opzioni politiche e programmatiche tra “finti rinnovatori” e “ riformatori per necessità “di fronte all’aggravarsi quotidiano della crisi economica e sociale che colpisce pesantemente anche la nostra regione?

 
Marri, tra passione e disincanto PDF Stampa E-mail
Mercoledì 05 Dicembre 2012

La generazione di Germano Marri nata negli anni Trenta era troppo giovane per partecipare alla Guerra e alla Resistenza e già matura per essere direttamente protagonista della stagione del Sessantotto. E’ stata una generazione di mezzo cresciuta negli anni difficili del dopoguerra e della ricostruzione ed ha in gran parte guardato alla politica con passione e convinzione ideologica,ma anche con realismo e disincanto.

Per chi come Marri ha avuto la possibilità e la volontà di studiare e svolgere poi un’attività professionale il rapporto con la militanza politica è stato sicuramente diverso da quello che in quegli anni svolsero i cosiddetti” rivoluzionari di professione”del Partito Comunista Italiano.

Aderire e militare nel Pci come ha fatto Marri a partire dal 1951,negli anni della più brutale contrapposizione ideologica frutto della guerra fredda,significava comunque adempiere ad un impegno politico che spesso non consentiva incertezze,dubbi, ripensamenti sulla cosiddetta” linea stabilita dal centro” sia esso a Roma o a Mosca. Il Pci costituiva una comunità con una forte propensione pedagogica che rischiava di condizionare ogni momento della vita culturale e sociale dell’iscritto e del militante.

In quegli anni il Pci perugino era guidato da Armando Fedeli ,Mario Angelucci e dai più giovani Raffaele Rossi e Gino Galli,ma andava affermandosi nel suo ruolo di costruttore e organizzatore del partito un dirigente come Pietro Conti,che seppur giovanissimo(nato nel 1928) era già attivo in tutte le città e i paesi della provincia e rappresentava un autorevole e in qualche caso autoritario punto di riferimento anche per i giovani comunisti come Marri.

Prevaleva in tutti la fedeltà alla linea del Pcus dell’Unione Sovietica, prima dettata da Stalin,ma anche dopo l’invasione dell’Ungheria e il XX congresso del 1956 nessuno nemmeno in Umbria la mise mai in discussione, tantomeno i quadri intermedi che si muovevano all’interno della ferrea logica del centralismo democratico dominato dalla direzione togliattiana del partito. Questa regola nella vita interna dell’organizzazione di tipo leninista,determinava ancora prima delle convinzioni politiche una disciplina ideologica e conformismi culturali che contribuivano comunque a rafforzare la coesione del Pci verso l’esterno.

Così strutturato il Pci in Umbria potendo contare su una consistente forza organizzativa (nel 1948 registrava quasi cinquantamila iscritti in circa trecento sezioni) esercitava una forte opposizione alle politiche dei governi nazionali guidati dalla Democrazia Cristiana mentre con propri Sindaci e Presidenti, in un’allenza con il Partito Socialista, amministrava quasi tutti i Comuni della regione e le Province di Perugia e Terni. Per tutti gli anni Cinquanta la Dc anche in Umbria restava il partito di maggioranza relativa e il Pci solo nel 1963 la scavalcò elettoralmente crescendo di ben otto punti rispetto al voto del 1958. Contribuirono a raggiungere questo risultato elettorale sicuramente la forte opposizione dei comunisti ai nascenti governi nazionali imperniati sulla nuova alleanza tra la Dc e il Psi,ma incise anche l’affermarsi a Perugia e in Umbria di un partito politico come il Pci che rappresentava in prevalenza gli interessi dei contadini e degli operai,ma cominciava ad essere un punto di riferimento anche per alcuni ceti urbani,soprattutto professionisti che condividevano le sue proposte per la modernizzazione della regione, una tra le realtà più arretrate e sottosviluppate d’Italia.

In questo contesto Germano Marri era un giovane professionista cresciuto alla scuola medica di Lucio Severi(preside della Facoltà di Medicina dal 1958 al 1978) che nei primi anni Sessanta cominciava a ricoprire i primi incarichi amministrativi al Comune di Perugia nel settore dell’urbanistica.

La scelta di impegnarsi nel “governo della cosa pubblica” o meglio nella gestione amministrativa degli enti locali non era allora(come è invece oggi) l’obiettivo prioritario di un dirigente del Pci. L’impegno nelle istituzioni appariva di un livello diverso,se non inferiore,rispetto a quello rappresentato dalla direzione organizzativa e politica del partito. Con ciò si intendeva affermare il primato della politica o anche in modo più raffinato“ l’autonomia del politico”, concetto nobile che spesso però si identificava con la volontà di attribuire agli organismi dirigenti del partito il controllo e l’indirizzo dell’attività amministrativa nei Comuni ,nelle Province e poi alla Regione. Il governo delle istituzioni veniva quindi subordinato alla logiche e alle convenienze politiche e di potere del partito. Ma è proprio in questo contesto che Marri assolve con serietà ed impegno alla sue responsabilità amministrative.

La buona prova espressa in questa esperienza al Comune di Perugia viene valorizzata allorché nel giugno1970 si elegge il primo Consiglio Regionale dell’Umbria nel quadro di una riorganizzazione regionalista dello Stato italiano così come previsto dal dettato costituzionale. Germano Marri viene eletto nella prima assemblea legislativa regionale insieme a molti altri giovani come Alberto Provantini e Francesco Mandarini mentre è proprio Pietro Conti a ricoprire il ruolo di primo Presidente della Giunta Regionale. Alla fine della legislatura Marri è ricandidato ed eletto consigliere regionale e viene chiamato a ricoprire la carica di Assessore regionale ai servizi sanitari e socio-assistenziali.

In questo periodo e in particolare nel biennio 1975-76 il Pci in Italia come in Umbria raggiunge notevoli successi elettorali e pur restando all’opposizione del governo nazionale è chiamato ad amministrare per la prima volta città importanti (Roma,Napoli,Milano,Torino ,Venezia)e molte regioni (oltre alla Toscana, Emilia Romagna ed Umbria,la Liguria,il Piemonte,le Marche e il Lazio)affermando un” nuovo modo di governare”. Ma intanto la Regione dell’Umbria e in particolare il suo Presidente(non solo per la personalità di Pietro Conti) diventa una specie di “sacrario del potere” ambito e temuto. Ciò si verifica d’altronde in una realtà piccola, policentrica,in qualche modo inventata,dove l’affermarsi della nuova istituzione regionale ha visto concentrarsi il potere politico ed amministrativo in poche mani con una diramazione ai livelli cittadini e territoriali che rimandano al Presidente la decisione definitiva sulle scelte. A differenza della Toscana o della Emilia Romagna il Presidente della Giunta Regionale diventa(pur senza solide motivazioni istituzionali e politiche) una specie di” Sindaco dell’Umbria”. Questa concentrazione di potere(soprattutto negli anni del regionalismo trionfante) apre inevitabilmente un conflitto all’interno del Pci e tra il partito e la sua rappresentanza istituzionale. E nel 1976 in concomitanza con le elezioni politiche Pietro Conti (rieletto Presidente appena pochi mesi prima) viene candidato alla Camera dei Deputati,dopo un vivace conflitto interno al Pci in cui anche Pietro Ingrao avrebbe svolto un suo ruolo non certo secondario.

Germano Marri già assessore in carica viene allora chiamato a sostituire Pietro Conti e d è eletto Presidente della Giunta regionale nel maggio 1976. Per undici anni fino alla primavera del 1987 ricopre questa importante responsabilità in un periodo in cui l’Umbria dopo lo sviluppo dello Stato sociale e quello della piccola e media impresa negli anni Settanta, deve nel decennio successivo, fare i conti con una crisi economica interna e internazionale che porta alla deindustrializzazione della regione emblematicamente rappresentata dalla crisi della Buitoni –Perugina e delle Acciaierie ternane. La Regione dell’Umbria e il suo Presidente si impegnano a gestire le crisi aziendali e rilanciare lo sviluppo economico cercando di prospettare nuovi assetti imprenditoriali e produttivi con il sostegno dei finanziamenti statali ed europei,ma anche sollecitando l’iniziativa privata per avviare “un nuovo modello di sviluppo”.

Dopo la lunga esperienza alla guida della Regione, Germano Marri viene candidato alla Camera dei Deputati e svolge questo incarico per due legislature fino al 1994 ricoprendo anche la funzione di segretario d’Aula del gruppo parlamentare Pci-Pds. In questi anni partecipa al dibattito sulla crisi del Pci e poi alle inevitabili ripercussioni anche in Italia derivanti dalla caduta del Muro di Berlino fino al cambio del nome e del simbolo del partito. Un dibattito molto partecipato, a tratti acceso a cui Marri da il suo contributo condividendo la” svolta occhettiana”,ma senza manifestare particolare avversione alle idee di coloro che la pensavano diversamente da lui.

Al termine di una lunga attività politica ed amministrativa l’esperienza e la competenza di Germano Marri viene messa a frutto alla guida di una importante istituzione culturale cittadina. Dai primi anni del Duemila è eletto Presidente della Accademia di Belle Arti di Perugia e fino al termine del suo mandato si impegna a rilanciarne l’attività difronte ai notevoli problemi economici e quelli derivanti dal suo assetto normativo e istituzionale.

Germano Marri è certo un figlio del suo tempo ed espressione della particolare formazione politica e culturale che ha ricevuto,ma nonostante i tanti incarichi istituzionali ed amministrativi ricoperti non può dirsi un “totus politicus” un personaggio cioè i cui interessi e le cui esperienze siano segnate solo dalla politica. Anche se per periodi limitati ha svolto la sua attività professionale di medico internista e diversi sono tuttora gli interessi culturali che coltiva,dalla storia alla letteratura,alla saggistica. Ed a caratterizzare la sua personalità è poi una simpatica ironia ed autoironia che sfugge sia alle facili semplificazioni cosi come ai complicati machiavellismi.

 
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